
a cura di Lions Club Arezzo Chimera


6-Santa Maria delle Grazie
Colle di Santa Maria delle Grazie (m.276 slm)
Questa collina oggi prende il nome dallo splendido santuario mariano che vi sorge, ma la sua storia religiosa è molto più antica del cristianesimo.
Sin dall’epoca etrusca, infatti, anche questo luogo (similmente abbiamo detto di Poggio del Sole, di Pionta, di Santa Flora,...) fu frequentato per il culto di acque salutari (vi ricordate di Giovanni Rondinelli che descriveva la nostra città nel 1583: “Arezzo ... E’ pienissimo di Pozzi, e di ottime acque;….) Alla base del colle sgorgava una sorgente ritenuta miracolosa: le sue acque, conosciute per guarire soprattutto le malattie dei bambini, richiamavano fedeli sia locali sia forestieri da tempi remotissimi. In epoca romana quel fonte, chiamato forse Fonte di Pitigliano (antico toponimo della zona), era dedicato al dio Apollo, divinità solare e medicatrice. Anche durante l’alto medioevo il culto continuò: la fonte era nota come Fons Tuta (fonte “sicura”) e rimase meta di pratiche pagane di guarigione, tollerate a fatica dalla Chiesa locale.
Nel basso medioevo il nome divenne Fons Tecta (fonte “coperta”). Agli inizi del Quattrocento erano ancora molti quelli che vi si recavano, considerando le acque guaritrici soprattutto dei mali infantili, ma la Chiesa locale non vedeva di buon occhio la permanenza di questi riti precristiani. Nel 1425 San Bernardino da Siena tentò di smantellare la fonte, ma venne cacciato. Nel 1428 tornò con gli stessi intenti e con i rinforzi: un gruppo di facinorosi fedeli grazie ai quali la distrusse. Al suo posto fece edificare un oratorio, dove Parri di Spinello affrescò nel 1430/31 una “Madonna della Misericordia” che protegge il popolo sotto il suo manto.
Negli anni seguenti la città abbracciò con entusiasmo il luogo sacro rinnovato. Tra il 1435 e il 1444 venne costruita una vera e propria chiesa sul colle, grazie a finanziamenti pubblici e donazioni di cittadini illustri. Il progetto, in stile tardo-gotico elegante, fu affidato all’architetto Domenico del Fattore. La chiesa a navata unica, conclusa con volte a crociera e abside poligonale, divenne uno dei santuari mariani più importanti della zona. A completamento del complesso, nel 1470-71 fu realizzato davanti alla chiesa un ampio piazzale porticato progettato dall’architetto Giuliano da Maiano (fratello di Benedetto). La loggia rinascimentale che circondava il piazzale – con sette arcate a tutto sesto ornate da medaglioni – è considerata uno dei capolavori architettonici di Arezzo, ispirato all’Ospedale degli Innocenti brunelleschiano. Purtroppo, dopo secoli di incuria, quel portico fu in gran parte demolito nel 1788; oggi ne restano visibili solo due brevi segmenti, restaurati e valorizzati.
Nel corso del tempo, al santuario si affiancò un monastero: dal 1695 l’ordine dei Carmelitani Scalzi prese dimora presso Santa Maria delle Grazie, ampliando gli edifici conventuali adiacenti. Oggi i padri carmelitani custodiscono ancora il santuario, rendendolo vivo con le celebrazioni religiose. All’interno, il visitatore resta incantato dallo splendido altare in terracotta invetriata di Andrea della Robbia (raffigurante la Madonna delle Grazie), vero gioiello dell’arte rinascimentale aretina. La chiesa, con la sua facciata semplice coronata dalla loggia, immersa nel verde del colle, è diventata scenario di incantevoli matrimoni e meta immancabile per chi visita Arezzo. Il Colle di Santa Maria delle Grazie, un tempo dimora di ninfe e di un culto pagano, è oggi uno spazio di spiritualità serena, dove la storia millenaria del luogo traspare in ogni pietra e in ogni stilla d’acqua che sgorga ancora dalla fontana moderna accanto al sagrato.
Tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del XV secolo, alla facciata della chiesa fu addossata la straordinaria loggia di Benedetto da Maiano. Quest’opera, formata da quindici arcate sostenute da colonne in stile corinzio, è considerata uno dei massimi capolavori rinascimentali. La supremazia dei vuoti sui pieni la rende leggera e armoniosa e questa caratteristica fu esaltata anche da Gabriele D’Annunzio, che la definì “aerea loggia”.
All’entrata del piazzale si nota un portale in pietre sbozzate: è ciò che rimane di Porta Santo Spirito, una delle entrate della cinta medicea di Arezzo. Fu trasportato qui nel 1893, dopo l’abbattimento delle mura in quella parte di città. Nel 1895, a destra del portale, fu collocata una lapide per ricordare che tra il 22 e il 23 luglio 1849 qui si accamparono le truppe di Giuseppe Garibaldi in fuga da Roma, dopo la disfatta della Repubblica Romana.
Il santuario oggi è una parrocchia gestita dai padri carmelitani e contiene un cospicuo patrimonio artistico, nonostante la perdita di alcune opere e il trasferimento di altre nel Museo di Arte medievale e moderna di Arezzo, come la tavola con la “Madonna della Misericordia e santi” del 1456 di Neri di Bicci e la tavola con la “Madonna in trono con il Bambino tra i santi Gaudenzio e Columato” del 1482 di Lorentino d’Andrea.
Nella parete destra un affresco che raffigura “Papa Sisto IV tra i cardinali Gonzaga e Piccolomini, nell’atto di concedere l’indulgenza al santuario” fu eseguito intorno al 1480 da Lorentino D’Andrea, principale collaboratore aretino di Piero della Francesca.
Alla fine del Quattrocento la “Madonna della Misericordia” di Parri di Spinello fu inserita nell’altare marmoreo di Andrea della Robbia, realizzato con l’aiuto dei figli Giovanni, Marco e Luca il Giovane tra il 1487 e il 1498. Nella parte centrale quattro statue raffigurano San Donato, San Bernardino e i protomartiri Lorentino e Pergentino. La magnifica opera, coronata da una “Madonna con il Bambino tra due angeli”, è arricchita da putti reggicandela, testine di cherubini e serafini, lo Spirito Santo, medaglioni con profeti e un elegante festone di frutta in terracotta invetriata policroma. Il paliotto dell’altare maggiore rappresenta, infine, “Cristo in pietà con la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti”.
All’interno della Cappella di San Bernardino sono custoditi i resti degli affreschi di Lorentino d’Andrea staccati dal portico esterno e alcuni cimeli, come la croce di legno che secondo la tradizione il frate e futuro santo aveva con sé durante la demolizione della fonte pagana.