a cura di Lions Club Arezzo Chimera
La Turrita Arezzo
a cura di Anna Bartolini
Introduzione
Già presenti fin dall’antichità con forme varie e diverse e con funzione sia di controllo del territorio che di difesa e, per la loro verticalità, anche come simboli religiosi, le torri costituiscono tuttavia la più iconica e diffusa delle emergenze architettoniche che caratterizzano l’immagine urbanistica e paesaggistica dell’Età medievale quando la difesa, il controllo e il presidio del territorio e delle città, costituivano un’esigenza vitale ed inderogabile.
Questi edifici, a prevalente forma quadrangolare, allungata e svettante non meno di trenta- quaranta metri ( la maggiore o minore altezza variava in base al censo della casata ed alla posizione rispetto al circondario) ed allo stesso tempo compatta e solida, fatti di pietre e/ o di mattoni, rafforzati alla base, erano veri e propri edifici difensivi sostanzialmente inaccessibili, con le loro pareti diritte e con la mancanza di aperture che non fossero delle strette feritoie. I pochi accessi erano collocati in alto e si raggiungevano solo attraverso scalette di legno che, dopo l’uso, venivano rimosse. Talvolta, sempre in alto, si trovavano dei passaggi accessibili solo dall’interno, che mettevano in comunicazione questi edifici con quelli limitrofi tramite passerelle lignee anch’esse rimovibili. Spesso internamente alle torri si trovava un pozzo che poteva garantire la sopravvivenza in caso di lunga, forzata permanenza. La copertura poteva essere in laterizio oppure a merlatura. Prima dello sviluppo dell’artiglieria le torri , per le caratteristiche cui abbiamo accennato, costituivano quindi dei veri e propri fortilizi che si innalzavano, in gran numero, in punti strategicamente significativi. Talvolta le torri erano collegate tra di loro e intervallate da blocchi di case e riproponevano lo schema dei castelli del contado con cortile interno, pozzo, orto, attività artigianali, stalle e magazzini che garantissero la sopravvivenza in caso di scontri intestini in ambito urbano. Tali strutture , i cui accessi potevano essere chiusi, venivano definite Castellari o piazze. In Arezzo ne esistevano sicuramente all’interno della cittadella più antica, posizionata dove si trova oggi il Prato ma la sua totale distruzione li ha del tutto cancellati.
Le torri di avvistamento, esterne alle città, isolate nel territorio, spesso posizionate in zone sopraelevate facevano spesso riferimento a quei castelli che costituivano i più importanti presidi militari di un determinato territorio. Se pure in massima parte scomparse, ancora oggi, nei rilievi della campagna italiana, ne restano tracce significative.
Con l’attenuarsi di quelle esigenze di difesa che erano nate con le ricorrenti invasioni susseguitesi nell’età tardo antica ed in quella alto medievale e con il diffondersi dei borghi e delle città, anche le torri modificarono il proprio aspetto e le proprie funzioni . Fin dall’inizio dell’età comunale, nacquero infatti la case torri.( S. Niccolò e interno dell’attuale via Mazzini) Porte e portoni ne resero comodo ed agevole l’accesso, le finestre si ampliarono favorendo l’ingresso di aria e luce nei locali interni che divennero più confortevoli, si moltiplicarono strutture esterne quali balconi, ballatoi, logge e altane, in legno e muratura. (Poteva essere presente anche una specie di primitivo gabinetto che scaricava nel cortile interno dove i contadini si approvvigionavano di concime. L’urina veniva utilizzata per la tintura dei panni.) Insomma anche la borghesia, pur volendo abitare in modo più comodo e funzionale alle proprie attività mercantili, desiderava comunque vivere in una torre che continuava ad essere un simbolo di prestigio.
La casa torre medievale accoglieva e proteggeva con le sue strutture difensive, un gruppo familiare consistente e importante oltre a rappresentarne il potere, il prestigio e la ricchezza. Se l’edificio apparteneva ad un artigiano o ad un commerciante, nella parte sotterranea vi si depositavano i materiali oppure potevano trovarvi posto concerie e tintorie. Al pianterreno si aprivano i portoni che immettevano nelle botteghe e nei retrostanti laboratori. Il piano superiore era detto piano nobile ed ospitava la sala di rappresentanza per ricevere i clienti più importanti o per accogliere feste e banchetti. Più in alto ancora si trovavano le altre stanze della casa e, all’ultimo piano, la cucina onde contenere la pericolosità di eventuali incendi.
Mantenendo comunque, come abbiamo detto, anche la funzione difensiva, le torri furono dotate di merlature e beccatelli oltre che di ballatoi per le ronde, soprattutto quelle che sorgevano nelle rocche o nei castelli dove spesso potevano essere anche utilizzate come depositi di armi o prigioni. Gradualmente, con il mutare delle condizioni storico- politiche ed economiche, questi edifici si ridussero in altezza e si ampliarono fino a divenire grandi e confortevoli palazzi .
Arezzo e le sue Torri
La storia della città di Arezzo, affonda le proprie radici in epoche assai antiche con i primi insediamenti che possono esser fatti risalire all’età preistorica. Nel corso dei secoli la città ebbe momenti di grande prosperità e rilievo: fu potente e cospicua lucumonia nella Dodecapoli etrusca e fiorente centro strategico ed economico in epoca romana, in particolare tra il I secolo a.C ed il I d.C. Tuttavia Arezzo visse il suo massimo sviluppo culturale, economico e militare nel
tredicesimo secolo ed in parte del quattordicesimo. Possiamo quindi immaginare come nei secoli suddetti anche il profilo urbano della città fosse caratterizzato dalla numerosa presenza delle più diffuse e tipiche emergenze edilizie che connotarono l’aspetto delle città medievali: gli edifici turriformi. Senza dubbio la “ forma urbis” di Arezzo doveva apparire del tutto simile a quella dei tanti altri agglomerati urbani coevi che affidavano la propria protezione e sicurezza a mura poderose e ad innumerevoli torri alte e robuste.
Alle numerose torri svettanti all’interno della Cittadella che si ergeva tra le colline di S. Pietro e S.Donato, in epoca comunale (sec. XI-XIII ) si aggiunsero quelle che, numerose, cominciarono ad innalzarsi sul declivio delle colline suddette fino alla cinta muraria anche in concomitanza con la volontà del nuovo potere di inurbare, talvolta tramite incentivi e talaltra con la violenza, la riottosa nobiltà extraurbana per esercitare su di essa un diretto controllo . Urgeva inoltre liberare il contado da quei privilegi feudali che rallentavano lo sviluppo del libero commercio, base stessa dell’economia comunale. I nobili inurbati costruirono ognuno la propria torre come strumento di difesa e offesa ( la vita cittadina era travagliata, lo sappiamo, da continue lotte intestine per il potere) e come simbolo del proprio censo. L’aristocrazia del contado si integrò nella nuova realtà economica, usufruendo non più solo delle ricchezze derivanti dalle vaste proprietà agricole ma inserendosi anche nelle varie e redditizie attività commerciali cittadine. Le torri venivano edificate, solitamente, vicino alle porte della cinta muraria in modo da permettere, se necessario, una rapida uscita della città per raggiungere, più rapidamente possibile, il castello di origine ubicato nel contado. Si privilegiavano quindi le principali direttrici viarie come il Borgo Maestro, o gli incroci come il Canto dei Bacci . Qui sorgevano quattro palazzi con le rispettive torri : dei Bacci , dei Berardi , dei Bostoli all’angolo con l’attuale via Mazzini e gli edifici della famiglia De’ Giudici all’angolo con via Cavour ( restano tracce solo delle prime due torri) .Venivano edificate inoltre all’inizio o alla fine della strada lungo la quale insistevano le abitazioni della famiglia o attorno alla piazza principale di Arezzo, quella Platea porcorum , allora posizionata più a nord di quella attuale.
Torre di Palazzo Bacci
Torre di Casa del Petrarca
Via fra le torri
Torre della Bigazza
Torre Camaiani
Torre del Palazzo del Vescovo
Si deve rilevare come la nostra città manchi di una organica ricerca storica sulle torri che ne prenda in esame il periodo di costruzione e l’appartenenza. Restano solo alcuni atti notarili che tuttavia non ne indicano neppure l’ubicazione. E ciò è dovuto al fatto che nella documentazione storica della nostra città, l’avvenuta distruzione, causata da un devastante incendio, degli archivi comunali, ha prodotto vaste ed irrimediabili lacune.
Gli storici che hanno dedicato la loro ricerca alle torri urbane, hanno infine rilevato che anche in età medievale, Arezzo non ne fosse particolarmente dotata. (G.Paolo Sharf e Vittorio Franchetti Pardo) Il primo che basa il proprio studio sugli atti notarili dell’epoca, segnala il grande divario esistente tra il numero di quelli relativi alle case e di quelli riguardanti le torri. Individua solo undici edifici turriformi e,ad esclusione della torre Bassamonte in cima a via Cesalpino, Ricoveri in Piaggia del Murello e Camaiani in via Bicchieraia, delle altre non indica l’ubicazione. Franchetti Pardo , a sua volta, riferendosi a due diversi dipinti , quello di Giotto ad Assisi databile alla fine del XIII secolo e quello più tardo (1452) ad opera di Benozzo Gozzoli in Montefalco, sottolinea come in ambedue, la presenza di torri nel panorama urbano aretino, non appaia notevole.
In relazione alle due opere citate, si deve osservare come l’immagine di Arezzo
dipinta da Giotto, appaia sostanzialmente allegorica se si esclude il particolare dell’imponente cattedrale esterna alle mura della città (individuabile in S.Donato al Pionta) la cui immagine tuttavia contraddice lo stile romanico che, in realtà, la caratterizzava. E comunque , per quanto piccola sia la porzione di città rappresentata nel dipinto, appaiono tuttavia ben cinque torri.
Nell’opera di Benozzo Gozzoli la città è rappresentata in modo convenzionale ma con aspetti realistici che tuttavia si riferiscono all’ Arezzo del Quattrocento non a quella medievale. E comunque in questo dipinto, appaiono ben nove torri.
Nel tardo Medioevo , tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, si ebbe una prima trasformazione dell’aspetto urbano riferibile alle torri: esse si mutarono in case torri che alla funzione militare e difensiva aggiunsero quella di civile abitazione. Soprattutto lungo il Borgo Maestro la nobiltà aretina si insediò in questo tipo di edifici che, con le loro massicce bozze grigie, in pietra serena, conferirono al centro cittadino un aspetto imponente e austero. Nel XV secolo, le torri urbane, per le mutate condizioni storiche, militari ed economiche, cominciarono ad essere abbattute e l’aspetto delle città andò trasformandosi significativamente anche in concomitanza con la perdita definitiva dell’indipendenza ( 1384).
Le torri , così come apparivano fino ad allora, gradualmente divennero molto meno numerose tra le emergenze del panorama urbano. Venivano abbattute o abbassate per motivi politico-militari dai fiorentini, o rovinavano, con esiti spesso drammatici, per crolli dovuti ad incuria, ad eventi atmosferici o tellurici, perché non più utlizzabili o per l’usura operata dal tempo ( Nel sec XVIII crollò una torre in Borgunto e con le sue pietre fu lastricata la strada). Una volta abbattuti, questi edifici non venivano ricostruiti, anzi al loro posto venivano creati orti e il materiale accumulato dalla rovina, veniva utilizzato per nuove costruzioni. Quelli rimasti vennero inglobati in palazzi nobiliari divenuti le nuove abitazioni del notabilato cittadino. Ormai le dimore gentilizie apparivano ampie, con grandi ingressi e finestre oltre che ingentilite da decori architettonici anch’essi corrispondenti al censo ed al prestigio del casato.
Ma prima di quest’epoca, tra la nascita del Comune (sec XI) e la perdita dell’indipendenza,( sec.XIV ) proviamo a stabilire quante fossero le torri di Arezzo considerando quelle ancora presenti nel centro città, quelle citate dagli storici ma non più leggibili, inglobate come sono all’interno di nuovi edifici, o quelle citate ma di cui non resta più alcuna traccia. Forse il numero delle torri aretine sarà , alla fine, più numeroso di quello che si è detto.
Durante la dominazione dei Longobardi e dei Franchi, i ceti dominanti, civili e religiosi, procedettero sia al recupero delle preesistenti torri romane che alla costruzione di nuove. In questo periodo, nella Cittadella posta sul colle di S. Donato, sorgevano, in particolare nel Cassero interno alla struttura, la torre di S. Donato e la Tolda. Da un disegno datato 1436, si evidenziano almeno sei torri identificabili oltre che con le due citate, con quella Guelfa, di S.Alberto e S.Matteo.
Un ulteriore documento costituito da un disegno risalente al 1534, quando i Sangallo ripresero i lavori interrotti nel 1508, individua nel perimetro murario della fortezza, la torre di S. Donato nel bastione della Chiesa, la Tolda nel bastione del Soccorso, la Guelfa in quello del Belvedere, S.Alberto vicino al bastione della Diacciaia, e la Porta forse con quello della Spina. Di queste torri non resta che qualche reperto di quella di S.Donato. Tutta l’area della Cittadella fu, come sappiamo , completamente abbattuta per volontà di Cosimo I de’ Medici, nel 1539.
Esterna alla Cittadella ma comunque nell’ antico centro storico cittadino, nell’attuale via S.Niccolò, si può individuare la torre Apolloni, un tempo di grande altezza certamente presente già prima del XIII secolo.
Le ultime torri costruite nel sec. XIV furono edificate dal Comune con funzione di rappresentanza come la Torre Rossa , tutta in mattoni, innalzata nel 1318 che affiancava il Palazzo Comunale sito presso l’attuale via Pellicceria, quella del Palazzo dei Priori, attuale torre del Comune, quella del Palazzo del Popolo, sito nell’attuale Praticino e quella del Rastrello elevata all’ingresso dell’antica Cittadella.
Si ricorda che alcune torri sopravvissute intatte alle ingiurie del tempo, furono in parte abbattute nell’Ottocento come quella del Palazzo del Vescovo in via di Seteria che con la sua imponenza, impediva la vista, a chi risalisse lungo il Corso, del campanile della Pieve. Le sue pietre servirono per la costruzione, nel 1830, del teatro Petrarca.
Oltre le torri citate e quelle ancora esistenti sappiamo che tracce di numerose altre, attraverso verifiche catastali e sopralluoghi , possono essere individuate in edifici vari , in diverse zone della città : lungo il Corso nel negozio Bindi, la torre di Palazzo Guillichini la cui parete è visibile all’interno della dimora gentilizia, la torre Apolloni e la casa torre di S.Niccolò, quella inglobata a fianco della chiesa di S.Benedetto, in S. Clemente, la torre, ancora individuabibile, dell’attuale Palazzo Thevenin o anche la casa torre all’interno di un abitato di via Mazzini. Alcune memorie storiche riferiscono l’esistenza fino al XVIII secolo, di una torre in fortezza. Sicuramente il maggior numero di torri cittadine, corrispondenti a quello delle famiglie nobiliari, svettava in alto all’interno della cittadella che si ergeva, fino al XIII secolo sulla superficie dell’attuale Prato, dall’abside del duomo alla fortezza al posto della quale si innalzava il fortilizio del Cassero,. Questa più antica parte della città, definita Cittadella, venne cinta da mura e torri, prima dal Tarlati e poi dai fiorentini. Distrutta dal già citato intervento demolitore voluto da Cosimo I dei Medici,( 1539) non ne possiamo individuare neppure le fondamenta, ricoperte come sono da sei o sette metri di terra utilizzata per il riempimento tra i due colli di S.Pietro e S. Donato, operato durante la dominazione francese degli inizi dell’Ottocento. Sul conseguente livellamento del terreno, sorse l’attuale Prato.
Torre di Borgunto
Torre Cofani e Torre Lappoli. Sullo sfondo Torre Borgunto
Torre del Palazzo dei Priori (attuale Palazzo Comunale
Paturzo - Brunacci - La Cittadella scomparsa
Le Case-Torri medievali, dei nobili e dei ricchi mercanti in una ricostruzione che mostra la doppia natura di abitazione e di luogo di lavoro, anche fortilizio in caso di difesa dagli attacchi contro la famiglia
Torre della Bigazza
Torre in Piaggia del Murello
Canto dei Bacci
UNO SGUARDO DA VICINO
Oggi, nel centro storico della città svettano ancora diverse torri alte e solide, testimoni, insieme a molte altre antiche emergenze edilizie civili e di culto, dell’aspetto e della grandezza dell’Arezzo medievale. Ma sappiamo che quelle, assai numerose che si innalzavano all’interno della Cittadella e lungo le sue mura, furono con essa rase al suolo (XVI sec.) e scomparvero per sempre. In epoche più tarde, furono abbattute anche quelle che si ergevano numerose, connotandone l’aspetto, lungo l’antico Borgo Maestro. Di queste oggi non resta quasi niente. Solo le loro tracce emergono ancora, inglobate in antichi palazzi signorili e tuttora narrano la storia di un’Arezzo medievale munita e austera. Sappiamo anche che alcune di queste torri, tuttora esistenti, hanno mutato, nei primi decenni del secolo XX , il loro aspetto originale acquisendo elementi quali le altezze e le merlature, che sono frutto di un sistematico e meritorio lavoro di recupero strutturale ma anche di interpretazioni “neomedievaliste” secondo lo stile neogotico in voga nel periodo storico artistico che va dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. (In Arezzo furono attivi promotori e realizzatori di questa opera di recupero e rivisitazione gli architetti Giuseppe Castellucci ed Umberto Tavanti).
Passiamo ad esaminare le torri tuttora esistenti, facendo riferimento, quando opportuno, anche a quelle che non esistono più ma la cui presenza è documentata e/o ancora leggibile.
Partendo dalla parte alta della città, in via S. Niccolò, in una delle zone di più antico insediamento urbano ricco di reperti etruschi, romani e medievali, si erge la già citata torre di palazzo Apolloni oggi meno elevata di quanto non lo fosse in origine, dotata di porticina rialzata e feritoie, probabilmente risalente al sec. XII. Nella zona di S. Niccolò, davanti all’incrocio tra Piaggia di S. Bartolomeo (in questa via, nel palazzo Girataschi, i documenti ricordano l’esistenza di una torre) e via Borgunto, si innalza l’omonima casa-torre databile tra la fine del sec XIII e l’inizio del XIV come il palazzo alla sua sinistra con cui fa corpo. Ha un aspetto imponente e severo recuperato con le ricostruzioni operate nel 1932 che la rialzarono e la fornirono di merli guelfi. Non ne è documentata l’appartenenza fino al sec. XVI quando divenne proprietà della famiglia Paccinelli, come attestato dagli stemmi presenti nella facciata. E neppure se ne conosce il nome per cui viene comunemente definita Torre di Borgunto. Ufficialmente il suo nome è Torre dei Giudici a causa di uno stemma, ormai poco leggibile, che si trova sulla facciata del palazzo adiacente e che reca l’immagine di un libro aperto e la scritta “Liber legum” emblema dell’arte dei Giudici e dei Notai. Molto probabile però che tale stemma si trovasse in un vicino palazzo e sia stato apposto alla facciata suddetta in epoca molto più tarda.
Scendendo da via Borgunto ed entrando in Piazza Vasari , cuore antico della città, si apre allo sguardo del visitatore uno scenario di rara bellezza, caratterizzato da edifici laici e religiosi di epoche diverse ma tutti di grande pregio artistico. In questa splendida scenografia sorgono due palazzi con le relative torri. Sulla destra si scorge Palazzo Lappoli risalente al sec.XIV e il cui casato ebbe illustri rappresentanti in età rinascimentale: Giovanni Pollio Lappoli, detto il Pollastra, soprannome che caratterizzò la famiglia fin dagli ultimi decenni del XIV secolo, letterato ed erudito, maestro di lettere di Pietro Aretino e Vasari e il nipote Giovanni Antonio Lappoli , pittore ricordato da Vasari nelle sue Vite, figlio di Matteo un seguace di Bartolomeo della Gatta, e a sua volta seguace di Andrea del Sarto e di Pontormo. Il casato era originario di Monte Sopra Rondine come attesta lo stemma nella facciata della dimora, recante i simboli del monte e della rondine. Non si sa a chi appartenesse la torre risalente al XIII secolo e che risulta far corpo non con palazzo Lappoli ma con l’edificio alla sua sinistra. Probabilmente era una casa torre e ancora oggi conserva un aspetto vetusto e austero. Nel XVIII secolo la torre fu sbassata ma durante i restauri dei primi decenni del Novecento, fu rialzata di due piani.
Nella parte sud di Piazza Grande si eleva il Palazzo Cofani , oggi Brizzolari con la sua alta torre merlata alla guelfa. I Cofani di origini modeste, si arricchirono enormemente con il commercio nei secoli XV e XVI e si estinsero alla metà del Cinquecento. L’ultimo rappresentante del casato, Mariotto, lasciò la proprietà alla Fraternita di S.Maria della Misericordia. Precedentemente, nel secolo XIII, questo palazzo con torre e altre dimore adiacenti appartennero, probabilmente, a Uguccione della Faggiola e alla sua famiglia detta anche Faggiolana, proveniente dal territorio di Verghereto ed il cui cognome ne indicava l’umile origine facendo riferimento ai boschi di faggio. Anche la torre che ha un aspetto possente e svettante sugli edifici circostanti, viene talvolta detta Faggiolana.
Allontanandosi da Piazza Grande lungo via di Seteria, e giungendo nella parte più alta di Corso Italia, si può scorgere, sul lato sinistro salendo, Palazzo Camaiani con la sua torre. Non è certo che sia stato tale casato a far costruire tali edifici. L’incertezza può dipendere dal fatto che le famiglie arciguelfe Albergotti, Sassoli e Camaiani costruirono le proprie dimore, per ragioni di difesa, le une accanto alle altre. Il palazzo e la torre (che già dal Trecento viene denominata della Bigazza ) furono fatti costruire nei secoli XIII e XIV. Anch’essa come tante altre della nostra città, negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, fu rialzata e ornata di merlatura guelfa prendendo il nome di Torre del Littorio. Più in alto, dove adesso sorge il Palazzo Pretorio, sede della Biblioteca della città di Arezzo, in età medievale sorgevano le dimore ducentesche delle famiglie Albergotti, Lodomeri e Sassoli che, nel sec. XV, furono accorpate in un unico edificio. Di queste emergenze edilizie risalenti all’età medievale, resta oggi, ben visibile tra il retro del Palazzo Pretorio e quello del complesso edilizio della Casa del Petrarca, la relativa torre ancora solida e svettante, anch’essa rialzata durante il restauro neogotico degli anni Venti –Trenta del Novecento.
In angolo tra via di Seteria e Corso Italia, dall’XI secolo e fino al XII, si innalzava, fino a via Pescaia,il possente Palazzo del Vescovo, il primo ubicato in città, dopo che l’autorità vescovile, residente nella cittadella politico religiosa del Pionta, fu costretta dalla comunità aretina a risiedere per sei mesi all’anno , all’interno della cinta muraria. Il vasto e imponente edificio era dotato di ben cinque torri oggi scomparse .In angolo con Corso Italia restava una sola torre la cui presenza è testimoniata da una stampa del Settecento e di cui oggi troviamo traccia solo nelle strutture degli attuali edifici.
Nella prospiciente via Bicchieraia, partendo però da dall’incrocio con via Cesalpino,
vi erano quattro torri oggi scapitozzate e non facilmente distinguibili dagli altri edifici alla cui altezza sono state uniformate. All’inizio si ergeva il campanile, a forma di torre, della chiesa di S. Pier Piccolo. Sul lato destro, si innalzava una casa torre del XIII secolo, mozzata ma ancora visibile.
Un’altra torre ducentesca, dei Camaiani o dei Sassoli, sempre scapitozzata, si intravede a sinistra. In fondo a via Bicchieraia, dove sorge un altro dei palazzi Marsupini, si può individuare, in angolo con Corso Italia, la relativa torre sempre
ridotta in altezza a livello del palazzo stesso.
Nella parte alta di via Cesalpino , (un tempo detta via dei Cervellieri , fabbricanti di elmi e cappelli di ferro e dei Calderari, fabbricanti di recipienti di rame, le cui botteghe si aprivano nella parte bassa della via) si innalzavano quattro torri di cui oggi resta solo quella dell’attuale Palazzo del Comune, un tempo dei Priori. Davanti a questa si ergeva una torre gemella. A nord della Chiesa di S. Pier Piccolo , svettava quella di palazzo Albergotti ancora visibile per quanto sbassata. Più in alto ancora, sullo stesso lato, si ergeva la torre di Bassamonte, dal nome del proprietario dell’edificio.
Nel luogo in cui Corso Italia, incrocia , via Cavour e via Mazzini si trova il Canto dei Bacci. Il tratto di strada, un tempo molto più stretto, che andava verso piazza S.Francesco, si chiamava “borgo dei Bacci “e poi “via dei Bacci”. Tale casato era uno dei più cospicui della città, dedito ad attività commerciali fiorentissime ma anche sensibile alle espressioni artistiche e culturali del suo tempo. Fu proprio la famiglia Bacci a commissionare prima all’artista fiorentino Bicci di Lorenzo e dopo la sua morte avvenuta nel 1452, a Piero della Francesca, la realizzazione degli affreschi della Cappella Bacci in S. Francesco, con le storie della Vera Croce. Ai quattro lati del crocevia si innalzavano altrettanti importanti dimore di importanti famiglie aretine : a nord ovest il Palazzo Bacci, a sud ovest il palazzo de’ Giudici, palazzo Berardi a sud est e a nord est palazzo Bostoli. Il palazzo Bacci presenta ancora , internamente ed esternamente notevoli tracce trecentesche. In particolare il palazzo è dotato di una terrazza panoramica creata dallo sbassamento della sua antica torre. Si può ritenere certo che anche gli altri tre palazzi menzionati fossero, in età medievale, corredati di una loro torre .
Dirigendosi verso sud est, in piazza S. Gimignano, si ergono imponenti, due case torri praticamente gemelle risalenti al XIII secolo . Presentano la stessa altezza e la stessa pianta solidamente quadrata ma l’ edificio di destra mostra diversi elementi decorativi che ne rendono più attendibile l’origine ducentesca.
Tra via Fontanella e vicolo dell’Orto, in una rientranza tra gli edifici che costeggiano la strada, si può notare una casetta trecentesca, chiaramente un troncone di torre trasformato in abitazione cui è accostata una fontanella. Davanti a questa torre trecentesca molto probabilmente ne sorgeva un’altra corrispondente.
Nella zona ovest della città, sempre nel centro storico, lungo la ripida salita dell’attuale Piaggia del Murello, sorgono le dimore dei Ricoveri o Recuperi e Gamurrini appartenenti alla medesima consorteria e che presentano, quindi, lo stesso stemma ( L’intera progenie trae origine dall’avo Ricovero da Quarata un cui discendente, Mariotto vissuto nel XV sec, portava il soprannome di Gamurrino). Salendo lungo la piaggia, sulla destra, all’altezza della piazzetta S.Maria in Gradi e superato l’incrocio con via del Marcianello, sorgono le dimore di questo nobile casato. Al palazzetto signorile si accosta una snella torre ducentesca, di bella e solida struttura con una base quadrata ed elementi architettonici di chiara impronta ducentesca come le strette finestre con arco a tutto sesto. Alla facciata del palazzetto, ornato con vari elementi in cotto, è apposto lo stemma dei Ricoveri- Gamurrini .
Bibliografia
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M.Bartoli -Ricerca in videoscrittura
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Elisabetta De MInicis Franco Guidoni -Atti del IV Convegno di Studi “ Case e torri medievali . Indagine sui centri dell’Italia comunale ( sec. XI-XV) Piemonte Liguria e Lombardia. Viterbo- Vetralla 29-30 aprile 2004.
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