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a cura di Lions Club Arezzo Chimera
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Ponte Buriano
detto anche Ponte a Buriano o Ponte di Buriano

a cura di Donatella Grifo, Pierangelo Casini, Alessandro Perrella, Roberto Cecchi

Al crocevia tra tre valli, laddove l’Arno volge le spalle agli Aretini (come ebbe a dire Dante Alighieri)  sorge questa affascinante e possente opera architettonica medievale, delimitando la fine del Casentino e l’inizio del Valdarno Superiore. A qualche centinaio di metri dalla struttura si getta nel fiume il Canale Maestro della Val di Chiana.

Con le sue sette arcate in pietra Ponte a Buriano è uno dei gioielli più preziosi dell’omonima Riserva Naturale amata e studiata anche da Leonardo da Vinci; un’area di circa sette chilometri lungo il letto dell’Arno che arriva fino alla diga della Penna. Ci sono ampi spazi verdi e boschi dove fare piacevoli passeggiate e vedere aironi di ogni specie ed altri uccelli di razze protette. Lungo le sponde del fiume la Cittadella della Pace di Rondine ed il piccolo borgo di Monte Sopra Rondine affacciato sull’Arno. Il paesaggio nella Riserva Naturale stupisce in ogni stagione con colori e tonalità sempre diversi; se poi vi capita di passarci nell’ultima domenica di Giugno c’è “La spollinata”, una spettacolare discesa lungo l’Arno con imbarcazioni stravaganti.

L’aspetto attuale del ponte romanico risale alla metà del milleduecento ma la sua storia è ancor più vecchia: un ponte di legno attraversava l’Arno in questa zona conosciuta allora come Villa di Buriano. Con lo sviluppo nel medioevo della via dei Setteponti, quel ponte di legno fu trasformato in pietra. Lo hanno attraversato pellegrini ed eserciti, ha superato alluvioni e bombardamenti, ma ha resistito fino ai giorni nostri.

La fama che ha ancora oggi Ponte a Buriano è dovuta anche a Leonardo da Vinci ed agli studi che fece tra il 1502 e 1503 su questo tratto dell’Arno, per bonificare la Val di Chiana e per motivi strategici (vv anche ‘Il ponte della Gioconda’). Nel 1992 Carlo Starnazzi riconobbe nell’ambientazione che fa da sfondo alla “Gioconda” di Leonardo da Vinci, databile al 1503/1504, proprio il nostro ponte romanico. La tesi venne accettata da alcuni dei più grandi leonardisti, come Carlo Pedretti, direttore dell’Hammer Center for Leonardo Studies di Los Angeles. Altre località, comunque, reclamano il panorama alle spalle di Monna Lisa e l'argomento rimane dibattuto.

Ponte Buriano è il ponte aretino più famoso tra quelli storici che superano l’Arno. L’attraversamento prende il nome da un antico villaggio più distante dal fiume rispetto alla frazione odierna, oggi scomparso. Anche dell’abitato che si sviluppò nel medioevo alle due estremità del ponte è rimasta solo una parte sulla sponda destra: nel 1957, con la costruzione della diga della Penna la parte sinistra del paese fu distrutto perché le case rientravano nel territorio del bacino del lago.

In epoca etrusca nella zona, attraversabile nei mesi estivi con un guado carrabile, vi doveva essere un ponte di legno leggermente più a valle. Nel periodo romano ne venne costruito uno più robusto, con i pilastri in muratura sui quali forse continuava a correre una struttura lignea. Da qui passava la via consolare Cassia Vetus di età ellenistica, che da Roma arrivava ad Arezzo e quindi si inoltrava nel Valdarno Superiore, prima di raggiungere Fiesole e dal I secolo a.C. la nuova colonia di Florentia, la futura Firenze.

In epoca medievale il tracciato continuò a essere di grande rilevanza. Nel XII secolo era presente un ponte che in parte riutilizzava quello romano, ma nel Duecento si decise di costruirne uno nuovo. Una pietra tra i fori delle centine di un’arcata riporta il 1240, forse l’anno di inizio lavori finanziati dagli Accolti e dai Chimenti. Il 1277, citato anche negli Annali Aretini, è considerato invece l’anno di conclusione dei lavori.

Meraviglia dell’ingegneria medievale, Ponte Buriano è giunto a noi con il rivestimento in pietra arenaria e i poderosi sproni che arrivano fin quasi al piano di calpestio. Nel corso dei secoli più di una volta sono stati compiuti interventi di rinforzo e restauro, in particolar modo dei piloni messi a dura prova dalle piene e dalle “fodere”, ovvero le zattere formate da tronchi legati tra loro, che dal XIV secolo attraversarono di continuo le arcate per raggiungere Firenze, Pisa e altre città lungo il percorso dell’Arno. Il legname proveniva dalle foreste casentinesi e veniva fatto scorrere sul fiume per giungere ovunque sarebbe servito.

Fino al 1778, a breve distanza dall’attraversamento, sorgeva la locanda dove secondo la tradizione il 1° maggio 1581 sostò il filosofo francese Michel de Montaigne, che nel suo giornale di viaggio ricordò la bellezza dell’attraversamento.  

Un chilometro a monte di Ponte Buriano si trova Cincelli, un piccolo borgo che si sviluppa intorno alla Chiesa di Santa Maria Assunta. Il nome del luogo deriva dal latino “centum cellae” e fa riferimento alle camere di cottura delle fornaci dove si produceva la celebre ceramica da mensa aretina di epoca romana. Gli “Arretina Vasa”, dal caratteristico colore rosso corallo, vennero esportati in tutto il mondo romano e oltre, rendendo Arezzo particolarmente fiorente tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Dalle cave di Cincelli si estraeva argilla di ottima qualità, che consentì di trasformare l’area nel più importante distretto di produzione vasolare esterno alla città. Qui avevano le loro succursali anche alcuni dei più conosciuti ceramisti dell’epoca, come Gaio Cispio, Marco Perennio e Publio Cornelio. I ritrovamenti del passato hanno restituito resti di fornaci e vasche utili a far decantare l’argilla, depositi di scarti di lavorazione, nonché stampi, strumenti da lavoro tipici dei vasai e bolli che indicavano i nomi dei ceramisti.

Gli oggetti venivano prodotti in serie, un’idea rivoluzionaria per l’epoca, che portò a una sorta di antesignano lavoro a catena. Questo permetteva una maggiore produzione, accompagnata da una qualità del prodotto indiscutibile. I vasi corallini di Arezzo furono così, per molto tempo, la migliore produzione di ceramica da mensa in circolazione.

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Dopo l’ ultima guerra, gli unici due ponti rimasti integri sul fiume Arno nel tratto da Firenze a Stia, sono stati il Ponte Vecchio e  l’altrettanto vetusto Ponte Buriano. Ma se il Ponte Vecchio di Firenze non fu fatto saltare dai tedeschi perché la struttura del ponte non avrebbe retto al passaggio dei  mezzi corrazzati, il ponte di Ponte Buriano era tale invece che sia per larghezza che per struttura poteva permettere il passaggio  dei pesanti mezzi bellici ed i tedeschi nel Luglio 1944 durante la loro ritirata verso il Valdarno minarono il ponte e avevano tutta l’intenzione di ridurlo in macerie.  Fu  un “gruppo d’assalto” inglese del reggimento Lothians and Border Horse prontamente intervenuto il 16 Luglio del '44, non tanto per amore di una opera d’arte antichissima,  ma per salvaguardare un manufatto strategico per la loro avanzata, che riuscirono a togliere le cariche esplosive e il ponte fu salvo.

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All’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, la località si chiamava “Ponte a Buriano” e non Ponte Buriano” , e furono gli abitanti del paese che fecero una richiesta alle autorità per la modifica, rammento che all’inizio del paese, c’era un cartello turistico dove era stata ricoperta  con vernice bianca l’ “a” di troppo. 

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