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a cura di Lions Club Arezzo Chimera

a cura di Roberto Cecchi

Arezzo batte moneta

Pare che almeno in due epoche differenti Arezzo abbia avuto una sua Zecca, in era Etrusca e durante la Repubblica aretina

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Ad una Zecca nell’Etruria settentrionale interna, ubicata tra la Val di Chiana e l’alta Val d’Arno si può verosimilmente attribuire la serie monetaria fusa anepigrafe detta ‘della ruota’, serie nella quale ad almeno una faccia della moneta contenente una ruota, si contrapponeva una faccia con motivi differenti, dal cratere, all’anfora, dall’ancora ai tre crescenti

la zecca di Arezzo è forse la meno studiata tra le zecche toscane medievali, questo a dispetto del suo interesse e della sua rilevanza. Le carenze bibliografiche relative a questa officina monetaria trovano una loro ragione nell'assenza quasi totale di fonti documentali, in particolare presso gli archivi di Arezzo che sono andati in massima parte distrutti nel corso degli eventi bellici del 1384. Solo in tempi recenti, gli studi su di un tesoretto composto in gran parte di denari aretini ha riportato l'attenzione su questa zecca.

Una complessa diatriba tra studiosi è incerta nell'attribuire ad Arezzo una zecca già a cavallo da il X° e XI° secolo

Quel che è certo è che nel basso Medioevo, quando la città di Arezzo era libero Comune, per un breve periodo, batté moneta. Si chiamava "Grosso" ed era in argento, coniata all'interno delle mura cittadine. Riportava l'immagine di San Donato e i soldati aretini entrarono in battaglia a Campaldino l'11 giungo 1289 con una di esse al collo: La battaglia consegnò tutta la Toscana ai fiorentini e la moneta cessò di esistere.

Di quella valuta, oggi, è rimasta una significativa traccia: il "Grosso" è il premio con cui, ogni anno, vengono insigniti i Maestri del Lavoro di Arezzo. La consegna avviene nel corso di una cerimonia che si tiene all'interno del palazzo della Fraternita dei Laici in occasione della Festa della Repubblica.

La moneta recava al dritto la croce patente e al retro San Donato, così come l'anello. Probabilmente fu pensata dal vescovo Guglielmo degli Ubertini.

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