
a cura di Lions Club Arezzo Chimera

a cura di Roberto Cecchi, da uno scritto di Marco Botti
Chiesa di San Lorenzo
Marco Botti ci porta, nel cuore più vetusto della città, all'interno di un edificio che ha celato e cela tuttora enormi meraviglie: ha un'origine antichissima ed è legata a doppio filo a una domus romana del I secolo d.C.

Scendere da via Pellicceria verso via Fontanella significa ripercorrere il cardo massimo dell’antica Arezzo, ovvero la principale strada che la solcava in direzione nord-sud, e infilarsi in una parte fondamentale della città etrusca, romana e medievale. Poco prima di Palazzo Alberti, sede del Quartiere di Porta Crucifera, sulla sinistra appare ai nostri occhi la chiesa di San Lorenzo, affacciata sulla piaggia che da lei prende il nome. E' un edificio di origine antichissima, probabilmente paleocristiana, eretto sopra alcune abitazioni di epoca romana. Di sicuro è documentato dal 1025 e nel corso del Duecento fu ricostruito in stile romanico, ma di quel periodo sono rimaste poche testimonianze: le due campane nel campanile a vela con colonnette di marmo, alcune porzioni della parete esterna sinistra lungo vicolo della Minerva, poco oltre il suggestivo arco, ma soprattutto l’abside di pietra decorata con elementi in cotto d’influsso ravennate (influsso molto frequente ad Arezzo nelle costruzioni sacre di quel periodo), parzialmente visibile alzando gli occhi da via San Lorenzo, la strada a destra della chiesa che poi scende fino a piazza di Porta Crucifera.

San Lorenzo rappresenta un altro esempio della stratificazione storica che l'urbanizzazione crea in un periodo così lungo come quello di vita della nostra città (vv anche il Sottosagrato di S. Francesco) ed al contempo come proprio tale stratificazione significhi perdere una parte enorme del patrimonio storico-artistico.
Durante il Trecento il luogo di culto fu affrescato da alcuni pittori aretini. Nelle sue “Vite” Giorgio Vasari ci dice che Spinello Aretino realizzò per San Lorenzo un ciclo con le “Storie della Madonna” all’interno e una “Madonna in trono” all’esterno, protetta da un piccolo portico addossato alla facciata.
Il ciclo mariano fu ritrovato agli inizi degli anni Trenta del XX° sec. ma attribuito ad autori locali minori, a eccezione di una pregevole “Annunciazione” assegnata a Spinello: staccata oggi si ammira nel Museo Diocesano di Arezzo: è datata XIV° sec. Purtroppo è andata persa la Madonna esterna, per il Vasari “Nostra Donna bellissima”.
Sempre Vasari ci informa che nel 1472 Luca Signorelli affrescò per la chiesa una cappella con le “Storie di Santa Barbara”: anche questo ciclo è scomparso del tutto e siamo di fronte a una grave perdita per la storia dell’arte: secondo Vasari le prime opere in assoluto del Signorelli.

Nel corso del Cinquecento la parrocchia di San Lorenzo fu abolita, accorpandola a quello della chiesa di San Giustino, anch’essa oggi scomparsa. L’edificio venne affidato alla corporazione dei mugnai e dei panettieri, che nel 1631 commissionò a Bernardino Santini le pitture del catino absidale, a conclusione dei lavori di restauro del 1583.
Nella fascia inferiore il miglior pittore cittadino del Seicento eseguì il “Matrimonio mistico di San Lorenzo” con quattro santi ai lati. Nella fascia centrale alcune “Storie di San Lorenzo” e nella parte sommitale un “Coro degli angeli”. Lo stesso Santini pitturò l’altare laterale destro, dove è ancora riconoscibile solo un “Sant’Antonio da Padova”.
Nel 1705 la chiesa a navata unica fu stravolta: sparì il portico, fu allungata la navata e gli affreschi interni vennero ricoperti con l’intonaco, per riemergere nei primi anni Trenta del Novecento grazie a don Ferruccio Bigi, il “rabdomante” dell’arte aretina, che dopo averli ritrovati sotto la calce ne promosse il recupero. Nel 1934, come recita una iscrizione, i restauri e le integrazioni dei dipinti si conclusero.
Due anni prima, nel 1932, la facciata era stata rifatta in stile neorinascimentale su progetto di Giuseppe Castellucci.

Cardo Maximo


All’area di San Lorenzo è poi legato uno dei più importanti ritrovamenti archeologici della storia di Arezzo, la statua in bronzo della Minerva risalente agli inizi del III secolo a.C., forse fusa in una raffinata bottega della Magna Grecia e scoperta nel 1541, secondo una tradizione consolidata, durante lo scavo di un pozzo.
L’opera è correlata a una domus romana del I secolo d.C. attigua alla chiesa, dove la scultura probabilmente svolgeva un ruolo ornamentale. Una sorta di “pezzo d’antiquariato” per i ricchi proprietari di allora della dimora.
Nel Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate” di Arezzo è visitabile una apposita sala dedicata ai resti dell’abitazione, recuperati a più riprese nel corso del Novecento, e ai bronzetti provenienti dal “lararium”, ovvero il sacello privato in cui si sistemavano le statuette delle divinità protettrici della casa e della famiglia.
La Minerva, invece, nel settembre 1542 fu acquistata (tanto per cambiare) da Cosimo I de’ Medici e portata a Firenze, dove oggi è ammirabile nel museo archeologico del capoluogo toscano.
