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a cura di Lions Club Arezzo Chimera
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Arretina Vasa

Dopo il periodo dei buccheri, la ceramica aretina si impose in tutto il mondo allora conosciuto grazie ai cosiddetti vasi corallini, preziosi per la loro fine lavorazione e per il singolare color rosso corallo. I vasi Aretini (arretina vasa)  sono rimasti ricercati almeno fino a tutto il VII secolo d.C. sia per le necessità della vita familiare che per ornamento e per lusso. Diffusi in ogni parte dell'Impero e oltre, si sono ritrovati in ogni parte d'Italia, in Spagna, in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Grecia, nelle isole del Mediterraneo, in Asia Minore e in India, sulle coste settentrionali dell'Africa, finanche nei corredi dei Faraoni. Non si può mettere in dubbio la veridicità degli accenni di antichi scrittori (Plin., Nat. hist., XXXV, 160; Mart., Epigr., I, 53 e XIV, 98; Anthol. lat., 259 R.; Isid., Etym., XX, 4, 5), dai quali si deduce che il principale centro di fabbricazione e diffusione di detti vasi era proprio Arezzo

Sono detti vasi aretini (arretina vasa, arretinae testae) quelli che si distinguono per la loro argilla fine e ben depurata, proveniente da giacimenti locali, per la intensa cottura che ha dato alla terra un color rosso vivo, per la speciale sopracoloritura interna ed esterna con vernice finissima corallina, per le forme svelte e la decorazione in rilievi che mostrano l'imitazione di vasi metallici, per la presenza quasi costante di marche impresse o stampate sui nomi dei vasai in latino.

Le lodi che gli stessi antichi scrittori attribuiscono all'industria vasaria di Arezzo non sono esagerate, poiché risulta che le sue officine potevano gareggiare con le officine più famose di quel tempo.

Ci offrono elementi sicuri per la loro datazione le marche impresse coi nomi dei vasai, di cui le più antiche si trovano sui vasi neri e risalgono al sec. II a. C.; quelle dei vasi rossi cominciano ad apparire al principio del sec. I a. C. e cessano dopo la fine del sec. I d. C. : La produzione di Ceramica corallina sigillata che nasce ad Arezzo e qui viene prodotta per due secoli, prosegue poi in altri luoghi, fino al VI°-VII° sec d.C.

Le marche rivelano che le officine appartenevano a note famiglie romane venute in Arezzo probabilmente con le colonie dedottevi prima da L. Cornelio Silla (Arretini Fidentiores) e poi da Cesare od Ottaviano (Arretini Iulirnses); aiutano a stabilire il sito delle varie officine, la loro importanza, le loro vicende; indicano paesi greci d'Asia Minore come luoghi d'origine degli artisti che, immigrati ad Arezzo come reduci militari, con la loro abilità tecnica, tenevano alta la reputazione dell'industria dei rispettivi padrini aretini.

Già nel 1282 ser Ristoro di Arezzo accenna a trovamenti di vasi corallini. G. Vasari (Vite, VIII, p. 163) racconta che suo nonno (1484) trovò tre vasche da decantazione e parecchi vasi interi e frammentarî nel sito di un'antica fabbrica alle Carciarelle, lungo la Cassia Antica (attuale via Marco Perennio) là dove incrocia il corso del Castro; lo stesso nome di Carciarelle dato al ponte sul Castro deriverebbe dalle molteplici fornaci figulinarie, che apparivano quasi sotterra, e aventi la forma di piccole carceres Nel 1779 F. Rossi scoprì a Cincelli (Centum Cellae) le officine di P. Cornelius e C. Cispius con utensili da lavoro, fornaci, forme e vasi. Ma la fabbrica più grande e più ricca, che appartenne a M. Perennius, si rinvenne nel 1883 a S. Maria in Gradi, entro la città, e colà con successive esplorazioni si ricuperarono centinaia di vasi, forme e punzoni, appartenenti al periodo più florido della ceramica corallina. Una succursale di M. Perennio era a Cincelli. A S. Maria in Gradi, vicino a Perennio, le officine dei Rasinii e dei Vibieni; fra piazza S. Francesco e via Guido Monaco C. Annius, C. Volusenus e C. Memmius; fra via Guido Monaco e piazza del Popolo, C. Umbricius e L. Avilius.

Tra i decoratori, che spesso segnavano il nome sui vasi come i pittori dei vasi greci, quelli di cui conosciamo i saggi più belli sono: Nicephoros, Tigranes Cerdo e Bithynus di M. Perennio; Primus, Antiochus, Rodo di P. Cornelio, Certus, Pantagatus dei Rasinî; Phileros di C. Memmio; Crescens di Annio, ecc.

Ciascuna fabbrica aveva inoltre gran numero di schiavi addetti alla preparazione della creta, alla tornitura e alla stampa, alla rifinitura, alla cottura.

La scoperta di utensili da lavoro, di punzoni e matrici permette di ricostruire i principali metodi di fabbricazione dei vasi aretini. I punzoni hanno forma di sigillo, (sigilla), ma l'ornato o la figura da riprodurre è in rilievo, eseguita e ritoccata a mano con somma precisione. Il Museo archeologico di Arezzo ne possiede esemplari mirabili. I punzoni con rilievi servivano a preparare le matrici fittili in forma di ciotole o di lastrette piane, per lo più discoidali, in cui si ripeteva più volte la stessa impressione per ricavarne altrettanti rilievi, uguali al punzone, da applicare sulle pareti dei vasi lisci. Al successo di questi vasi contribuì notevolmente la novità della coloritura; i vasai aretini sostituirono alla moda della vernice nera quella di una vernice rosso-corallina brillante, che fa risaltare il rilievo e contribuisce, con la sottigliezza e la risonanza delle pareti, a dare ai migliori esemplari quell'aspetto di vasi cristallini del quale parla Marziale (Epig., I, 53, 6).

La formula della vernice, fluidissima, a base di silice, ossido di ferro e di qualche sostanza alcalina, con difficoltà si è potuta imitare tutt’oggi.

I motivi figurati e ornamentali dei vasi aretini sono gli stessi che, nell'ultimo cinquantennio della repubblica e nel primo dell'impero, ritroviamo in Italia su vasi di metallo sbalzati su rilievi marmorei neo-attici e su lastre fittili (tipo Campana), su stucchi e pitture murali, su altari marmorei e sulla stessa Ara pacis. Riflettono lo stile eclettico dell'arte romana di quel periodo. I vasi greci d'oro e d'argento certo hanno dato l'ispirazione diretta ai vasi aretini. Infatti una ciotola d'argento della raccolta Currie nel Museo archeologico di Firenze somiglia molto a un vaso corallino del Museo Arezzo, e il bicchiere con scheletri del tesoro di Boscoreale trova la sua corrispondenza in una forma del museo stesso; ma nessuna matrice aretina si ottenne con calco diretto da originale greco in metallo.

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Oltre il Fabroni, op. cit., v. Funghini, Degli antichi vasi fittili aretini, Arezzo 1893; H. Dragendorff, De vasculis Rom. rubris, Bonn 1894 e Bonner Jahrb., 1895

G. F. Gamurrini, Le iscrizioni degli antichi vasi fittili aretini, Roma 1859 e Corp. Inscr. Lat., XI, ii, pp. 1081-1160.

Not. scavi, 1883

G. H. Chase a The Loeb Collection of Arretine Pottery, New York 1908 e a Catal. of the Arretine Pottery, in Museum of fine Arts, Boston 1916; H. B. Walters, al Catol. of the Rom. Pottery in the British Museum, Londra 1908.

A. Del Vita, I vasi di Arezzo, in Atti del I Congr. Naz. di studî romani, Roma 1928. 

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