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a cura di Lions Club Arezzo Chimera

Arezzo AltoMedievale

a cura di Roberto Cecchi

Dopo uno dei suoi momenti di maggior fulgore nel I°sec, segni di difficoltà si colgono ad Arezzo già dal II°sec: si riduce la produzione di vasi sigillati, si sposta l’asse viario principale lontano dalla città (Cassia Adrianea), si interrompe la costruzione di opere pubbliche nel centro urbano, l’aristocrazia si sposta in residenze rurali. Questa tendenza si invertirà durante il V°sec, come vedremo. Peraltro sono poche e frammentarie le notizie storiche sull’Arezzo altomedievale: ciò che non è andato perso con gli incendi subiti nel corso del tempo dagli archivi cittadini, ha pensato la famiglia fiorentina dei Medici a distruggere, sia di archivi pubblici che di memorie

private. Peraltro è indiscutibile che i Goti fossero presenti nella Toscana orientale aretina, in Umbria e nelle Marche (che furono tra l’altro i luoghi dello scontro finale tra gli Ostrogoti ed i Bizantini di Narsete nella battaglia di Tagina- presso Gualdo Tadino - 552). E l'ostrogoto Teodato (482-536), nipote del grande Teodorico, della dinastia degli Amali, fu duca di Tuscia.

Qualora stanco di curiosare qua e là, perché molto curioso di approfondire:
I Goti in Italia
Invasioni Barbariche
Evoluzione Esercito Imperiale tardoantico

L’evoluzione dall’epoca tardo-imperiale a quella Altomedievale è in realtà un continuum, che parte già dalla grande crisi imperiale del III°sec (ad Arezzo come detto forse già dal II°sec). Dapprima si ebbero lente contaminazioni da parte di popoli barbari, man mano che l’impero si espandeva; poi si trattò di lente migrazioni nei secoli che infiltrarono in Italia popolazioni germaniche (e non solo), attraverso frontiere sempre più permeabili; popoli anch’essi sospinti alle loro spalle dalle migrazioni soprattutto degli Unni (vv Invasioni Barbariche). Importante fu anche l’influenza assorbente che ebbe il tentativo romano di sfruttare quelle contaminazioni e quelle migrazioni, inserendo prima i nuovi giunti dentro i confini imperiali e poi anche i popoli direttamente confinanti, nei ranghi militari, con l’intendimento probabile da una parte di tenerli così più sotto controllo e velocizzarne l’integrazione culturale, e dall’altra di incrementare le file dell’ esercito romano, in continua crescita numerica, sempre più insufficiente a fronteggiare le necessità dettate dalla vastità dell’impero (vv l’evoluzione nel tempo imperiale dell’esercito romano).

La fine dell’Impero Romano d’Occidente si fa collimare con la presa del potere di Odoacre (476), di etnia sciro o unno, re degli Eruli, patrizio  e generale romano (e già l’insieme di questi titoli la dice lunga su come i Romani dell’era tardo imperiale si erano adeguati se non assuefatti alla convivenza con popoli del limes), governò prima come cliente del legittimo imperatore d’occidente Giulio Nepote, poi, deposto il giovane successore Flavio Romolo Augusto(lo), come mandatario dell’imperatore romano d’Oriente, seppur come Re d’Italia (anche a causa di un malinteso linguistico: Teodorico era un ‘reiks’, titolo goto equivalente al Dux latino, cioè un capo militare, mentre l’equivalente del Rex latino, in goto è ‘thiudans’, titolo goto di forte valenza costituzionale); finché non volle proclamarsi ‘augusto’ e andò in soccorso a Ilio, generale ribelle dell’impero d’Oriente. Fu allora che Zenone, imperatore a Costantinopoli, chiamò i Goti di Teodorico ad invadere l’Italia: nel 493 la parentesi di Odoacre era già terminata ed iniziava quella del Regno Goto d’Italia. Ma anche tale regno, come già quello di Odoacre, non cercò di sovvertire bruscamente le strutture amministrative romane, ed il Senato romano continuò ad esistere, seppur i quadri dell’esercito videro sempre maggiori inserimenti barbari, perlopiù Goti (vv anche ‘Evoluzione dell’esercito in epoca imperiale’, ‘Migrazioni di popoli germanici’,  ‘I Goti in Italia’). Tanto che la distinzione nel linguaggio comune tra romani e goti andò perdendo il significato etnico/biologico e si soprammise a quella tra autorità civili-dinastiche-funzionariali e autorità militari, indipendenti quest’ultime dalla propria discendenza sociale. Le prime sempre più sotto il raggio di influenza delle famiglie romane e pian piano dell’autorità religiosa che in quella città diventa dominante anche in campo politico; le seconde sempre più sotto l’influenza prima di Ravenna, poi di Milano, comunque dell’esercito, del Re, dell’Imperatore.

Grevel, Public domain, via Wikimedia Commons

Come già Odoacre anche i Goti passeranno, quando perderanno anch’essi il favore dell’impero d’Oriente e l’Italia diventerà Bizantina. Poi arriveranno, inaspettati, i Longobardi ma anch’essi passeranno quando perderanno il favore dei Papi, che chiameranno a rimpiazzarli i Franchi e si costituirà il Sacro Romano Impero. Quello che invece sempre resta è la competizione tra i due poteri: quello religioso, che non solo governa Roma e, direttamente o indirettamente mezza Italia, ma che, come teorica prosecuzione del potere imperiale romano, vorrebbe mantenere anche il primato sul potere temporale oramai in mani ‘barbare’; dall’altra parte il potere imperiale, fondato sulla forza militare ma che pur’esso, già da Costantino e poi da Teodosio, si rifaceva sempre più al Cristianesimo, religione che assume via via un ruolo maggiore, anche con il controllo di quei Vescovi, che, vedremo, vanno a governare oltreché spiritualmente, in molti casi (Arezzo compresa) materialmente il territorio.

E’ insomma già nato l’attrito per la preminenza del potere della chiesa su quello imperiale e viceversa; ben prima che si inizi a parlare di Guelfi e Ghibellini (vvWelfen e Wibeling) nel XII°sec.

Anche la frizione tra Arezzo e Siena si sviluppa già durante il regno Goto certamente per interessi territoriali e di giurisdizione di chiese battesimali in Valdichiana e in Val d’Orcia tra i Vescovi delle due città (la sede episcopale aretina era più antica ed importante); e proseguirà in epoca longobarda nel confronto tra l’autorità regia a Siena, i gastaldi, teoricamente prevalente; e l’autorità vescovile ad Arezzo, che priva di quelle autorità laiche, si occupò, sempre più nel corso dei successivi secoli, anche del potere politico-amministrativo-militare.

Al netto di tutto ciò, come anticipato tra il V ed il VI secolo Arezzo conobbe un nuovo dinamismo edilizio (a differenza della bassa Tuscia), a documentare l’importanza che la città tornava ad avere se non altro dal punto di vista strategico nel percorso che collegava la capitale Ravenna a Roma (vv ‘Arezzo incrocio di pellegrini’). Arezzo approfittò del nuovo indirizzo Teodoriciano per rappresentare le nuove elites con l’edificazione di fortificazioni e costruzioni pubbliche ma anche private, da parte delle famiglie che desideravano esplicitare il proprio status ed il proprio ruolo.  aristocratiche.

E' da notare come allora, e già dall’era imperiale romana, la nostra impostazione odierna di salvaguardia di qualsiasi reperto antico, era del tutto rovesciata: Teodorico sollecitò l’effettuazione delle nuove costruzioni attraverso il riutilizzo dei materiali edilizi vecchi e diroccati, proprio a dare loro un nuovo significato: le stesse pietre non erano più il segno di una decadenza del vecchio regime sociale, al contrario diventavano segno di valorizzazione del passato nella costruzione di un nuovo assetto urbanistico e sociale.

In tale contesto la costruzione della nuova cinta muraria (vv ‘Cinte murarie di Arezzo’), in blocchi di pietra reimpiegati, fu il risultato di una concertazione tra le elites locali ed il potere centrale Goto, forse anche attraverso sovvenzioni e maestranze messe a disposizione da questo ultimo; maestranze capaci di competenze tecniche non trascurabili. Significativo anche il percorso della nuova cinta muraria, che secondo il solito concetto di valorizzazione del nuovo e scarsa considerazione del vecchio, escludeva parti cittadine, anche monumentali, delle epoche precedenti e non più utilizzate (ne fanno le spese le vecchie aree del foro-teatro-terme romane, che diventano addirittura luogo di sepoltura già prima della costruzione delle mura), includendo invece tutti i centri del potere politico, militare e soprattutto religioso in auge. il fenomeno della ‘città retratta’, con una cinta muraria ben più piccola delle precedenti (vv ‘Cinte murarie di Arezzo’) quindi non stava a significare un così forte ridimensionamento demografico, quanto piuttosto una diversa interpretazione del peso che allora venne ad avere la tutela del patrimonio pubblico e religioso, rispetto a quello dell’edilizia privata; che invece andrà espandendosi al di fuori della cinta muraria in nuovi spazi di aggregazione sociale della vita urbana. Al contempo anche la costruzione al Pionta (un chilometro fuori le mura) della grande aula funeraria documenta il ritorno di Arezzo al centro delle attenzioni anche delle elites aristocratiche.

In tale contesto L’irruzione dei Longobardi nella Tuscia avvenne all’inizio sotto forma di reiterate scorrerie (568-9). L’intero territorio centro italico visse un periodo di guerra endemica, tra le forze longobarde, quelle di vari ducati che si andavano formando (uno tra tutti quello di Spoleto) e la resistenza bizantina, che tentava di mantenere un corridoio di transito tra Ravenna e Roma. Arezzo si trovò al centro di questa conflittualità, stante la sua posizione strategica. I Longobardi la attaccarono sia da Siena, già conquistata, sia dal Casentino, confrontandosi con le fortificazioni create dai bizantini lungo l’Arno e in Valdichiana (tra queste probabilmente La Chiassa, Chiusi della Verna, Pieve S. Stefano, forse Castelsecco). Gli scontri nell’aretino proseguirono almeno fino alla metà del VII° sec, quando i Longobardi si presero tutto il territorio tra l’Arno ed il Tevere. In tutto questo periodo la parte Longobarda dell’aretino faceva capo a Siena, dove era insediato un ‘gastaldo’, un ufficiale regio longobardo dedicato alla gestione amministrativa e fiscale; tale figura non fu mai creata ad Arezzo, che fece riferimento all’autorità del Vescovo, sempre più gravato di funzioni amministrative. Nel frattempo la parte più orientale dell’attuale territorio aretino, rimasto sotto il potere bizantino, faceva capo all’esarcato ravennate ed al Vescovo di Città di Castello.

Il nome “Pionta” ha origini longobarde e deriva dal termine germanico “biunda” che significa “recinto”. E’ il primo nome di riferimento per il colle aretino che diventerà, soprattutto tra il VII° ed il XIII°sec potente centro religioso e centro culturale (Studium Generale Rei Publicae Aretinae) conosciuto in tutta Europa (la terza università europea dopo Bologna e Parigi). Ma quando in epoca longobarda si faceva riferimento a “biunda” ancora quel “recinto” non doveva essere una cinta fortificata di un centro abitato, bensì un luogo recintato per terreni coltivati e allevamenti, o al massimo un recinto murario a racchiudere la tomba di San Donato (secondo vescovo di Arezzo, martirizzato e lì sepolto nel 304, successivamente venerato in tutta Italia) la cattedrale paleocristiana, la sede vescovile e la scuola dei chierici. Probabilmente fu nella successiva epoca carolingia, con il consolidamento del potere comitale dei vescovi aretini, che il Pionta si dotò di mura fortificate.

Con la fine delle Guerre Gotiche si manifesta la prima vera crasi tra l’antica cultura romana e la nuova realtà multiculturale e multietnica in cui la penisola si trovava.  Tra il 535 ed il 561 (l’ultimo Re Goto, Teia, è sconfitto nel 553) fatti d’arme proseguirono nella penisola, sia per la disperata resistenza di qualche ultima piazzaforte gota (come Brescia o Verona) sia per la permanenza nella penisola di bande di altre stirpi intervenute nel conflitto come truppe mercenarie accanto all’uno o l’altro esercito, ma che avevano finito con l’approfittare del disordine complessivo per condurre razzie a proprio esclusivo vantaggio. Guerrieri franchi, guidati dal loro re Teodeberto, avevano scorrazzato per l’Emilia e per la Liguria, finché non furono debellati da un’epidemia. Nell’estate del 553, gruppi di Franchi e di Alamanni di nuovo nella penisola fino allo stretto di Messina, depredando tutto ciò che capitava loro a tiro, prima che le truppe imperiali riuscissero a sconfiggerli e un’altra epidemia falcidiasse i superstiti. La Prammatica Sanzione di Giustiniano aveva annullato gli espropri e le manomissioni di schiavi di cui era stato artefice il Re Goto Totila, rendendo all’aristocrazia senatoria la propria ricchezza e il proprio predominio sociale; tuttavia, questo ceto risultava decimato dal lungo conflitto e molti dei suoi beni erano comunque spogliati e in rovina. L’aspetto complessivo del paese italico alla fine del VI°sec. restava miserevole rispetto a un passato non troppo remoto: la popolazione era drasticamente ridotta, esposta a carestie ed epidemie, e vaste regioni erano interamente disabitate. I campi coltivati erano arretrati di fronte all’incolto, con l’estendersi di boschi e acquitrini, che modificavano profondamente il paesaggio modellato nei secoli dell’Impero romano dall’opera dell’uomo, alterando le condizioni generali di vita. Molte delle grandi strade romane caddero in disuso, per lo svuotamento dei territori che attraversavano; in molti centri urbani, la scarsità dei residenti comportò una ridefinizione degli spazi, con cambi d’utilizzo per interi quartieri, non più necessari a fini abitativi, e perciò reimpiegati, come serbatoi di materiali da costruzionedagli antichi edifici in rovina, o magari come discariche, come aree di attività manifatturiere, o, ancora, come spazi destinati alla coltivazione o all’allevamento. Si registrarono per la prima volta anche profondi mutamenti nelle istituzioni e molti incarichi che erano sempre stati di un Romano, furono riservati a un funzionario bizantino prima, longobardo poi. Tale estromissione degli Italici dai gradi più rilevanti dell’amministrazione concorse con altri eterogenei fattori, quali l’onerosa fiscalità o, più in generale, la crescente divaricazione culturale tra le antiche parti occidentale e orientale dell’Impero romano, a far sentire già la restaurazione giustinianea più come l’imposizione di un governo «straniero», che come l’effettiva rinascita di una perduta unità politica «romana».

Quando l’espansione del regno longobardo, conquistato già l’esarcato di Ravenna, minacciò la Roma dei Papi, fu proprio il Papato a chiedere (a più riprese) l’intervento dei Franchi, che scesero in Italia prima con Pipino il breve (incoronato dal Papa Re dei Franchi e nominato, ancora una volta, Patricius Romano), poi con Carlo Magno. Nel disfacimento del regno longobardo, Arezzo sarà tra gli ultimi presidi toscani a passar di mano, Con i Longobardi che resistevano nel sud (in particolare con il Ducato di Benevento) ed i Bizantini al Centro, nelle Venezie e qualche roccaforte in un corridoio attraverso l’Appennino, che coinvolgeva le parti orientali della nostra provincia (la Valtiberina).

Durante il regno Franco Arezzo rimase un po’ ai margini del potere, che in Toscana iniziò a distribuirsi tra Firenze e Lucca, e gli eventi politico - militari da noi si ridussero.

Arezzo nel Medioevo – Accademia Petrarca di Arti Lettere e Scienze, a cura di G. Cherubini, F. Franceschi, A. Barlucchi, G. Firpo

Wikipedia: la storia di Arezzo

Wikipedia – invasioni barbariche del V secolo

Medium Aevum Web – Il Regno dei Goti in Italia

Wikipedia – Regno Ostrogoto

Treccani – Le invasioni barbariche e la fine dell’Impero Romano d’Occidente

I Longobardi in Italia – L’Italia dei Longobardi

I Longobardi in Italia - I Longobardi in Italia

Giustiniano e il suo seguito (Basilica San Vitale, Ravenna) | Foto © bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it

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