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a cura di Lions Club Arezzo Chimera

IL VINO

a cura di Roberto Cecchi

in collaborazione con   'STRADA DEL VINO TERRE DI AREZZO'

Fino a 50 anni fa l'aretino era terra del 'fiasco di rosso' e di 'Bianco Vergine val di Chiana'. Il 'fiasco' era il contenitore in vetro impagliato tipico toscano che ciascun contadino portava in tavola con il vino autoprodotto,  proveniente dalla 'damigiana', altro contenitore in vetro impagliato, in cantina. Con tutto il rispetto per la genuinità del primo e con la primogenitura DOC in terra di Arezzo del secondo, la qualità non li faceva eccellere nel panorama vitivinicolo.

Oggi, se la produzione Italiana supera in quantità, varietà e qualità anche quella francese, la Toscana fa lo stesso con altre regioni italiane e la provincia di Arezzo si afferma oramai con una varietà di proposte superiore a quella di altre province toscane e con una qualità che nulla ha da invidiare a province più blasonate.

Ma la cultura vitivinicola, che nel nostro territorio ha conosciuto questo sviluppo negli ultimi decenni, viene da lontano...

Vino pazzo che suole spingere anche l’uomo molto saggio a intonare una canzone,
e a ridere di gusto, e lo manda su a danzare,
e lascia sfuggire qualche parola che era meglio tacere.

Omero

Furono gli Etruschi i primi a coltivare la vite e a fare il vino in Italia.

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Narra la Bibbia (Genesi 9,20-27) che fu Noè a scoprire il processo di lavorazione del vino: dopo il Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna bevendone il vino fino a guadagnarsi la prima sbronza della storia dell’Uomo.

In passato si è a lungo creduto che la domesticazione della vite (e la produzione di vino) fosse iniziata in un singolo punto (la cosiddetta Ipotesi di Noé). Gli studi degli ultimi decenni hanno invece sempre più dimostrato che l’approccio alla vite e la vino è avvenuto in diversi luoghi in modo indipendente. Secondo questa tesi alernativa gli Etruschi, sarebbero i primi viticoltori in Italia che tolsero la vite dai boschi e la coltivarono col sistema della vite maritata all’albero, fin dal XII°Sec. a.C.. Dalla proto-viticoltura iniziale,  svilupparono una forma di viticoltura autonoma, diventata poi parte marcante del paesaggio agricolo italiano per millenni. Il contatto con i Fenici ed i Greci arricchirà poi anche la loro viticoltura e produzione vinicola, ma manterranno sempre una forte identità. 

Gli Etruschi in ogni caso contribuirono alla diffusione del vino in tutta l'Europa occidentale, con imbarcazioni cariche di anfore che solcavano il Tirreno dalla Sicilia alla Gallia meridionale. Ed un re etrusco, Mezenzio, compare nell’origine mitica della festività dei Vinalia (23 aprile). Ovidio riporta che avrebbe richiesto a Turno, re dei Rutuli impegnato in guerra contro Enea, l’offerta del vino nuovo in cambio del proprio aiuto:

« Il mio valore non poco mi costa: lo attestano le ferite e le armi che spesso bagnai con il mio sangue. Tu che chiedi il mio aiuto, dividi con me – non grande compenso – il nuovo vino dei tuoi tini nella prossima raccolta. Non indugio all’opera, il vostro compito è dare, il mio, vincere. Quanto vorrebbe Enea che ciò mi venisse negato! »

Furono sempre gli Etruschi a trasmettere  la cultura della vite e del vino ai Romani, grazie al secondo re di Roma, Numa Pompilio, di origine Etrusca. La parola latina vinum, deriva essa stessa dall’Etrusco. 

Fin dall’inizio Etruschi pigiavano l’uva in pigiatoi detti palmenti, scavati in affioramenti rocciosi naturali situati in prossimità dei luoghi dove si trovavano le viti selvatiche o realizzati nelle vigne all’epoca delle prime coltivazioni. I palmenti venivano coperti con tettoie per ombreggiarli e proteggerli dalla pioggia. I primi palmenti in pietra risalgono all’età del Bronzo, seppur la loro datazione non è semplice, essendo stati usati per secoli, fino all’epoca medioevale ed in alcuni casi fino al Novecento. Essi consistevano in due cavità poste ad altezze diverse e comunicanti attraverso un canale di scolo. L’uva era pigiata con le mani o i piedi nella vasca superiore, con il canale di scolo chiuso con argilla. Dopo la decantazione si apriva il foro e si lasciava passare il liquido nella vasca inferiore, dove si completava la vinificazione. Le vinacce, nella vasca superiore, venivano pressate con pietre o pezzi di legno, prima, con arcaici torchi, poi, per recuperare il mosto residuo. Il primo mosto veniva in genere consumato subito, mentre il restante veniva versato in contenitori di terracotta con le pareti interne coperte di resina o pece (come già facevano i Greci). Il vino veniva lasciato riposare e a primavera era decantato e versato in anfore per il trasporto. Molto probabilmente si usavano anche otri in pelle, di cui non ci sono rimasti reperti, ma che sono spesso raffigurati.

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Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia parla delle aree circostanti Arezzo come le migliori per la produzione viticola e fa riferimento a numerose varietà di uve coltivate.

Ma fu nel periodo medioevale e del granducato di Toscana che la zona vitivinicola ebbe il suo periodo d'oro.

L’editto di Cosimo III de’ Medici del 1716 prende atto di una produzione vitivinicola di alta qualità già a quel tempo ampiamente consolidata e riconosciuta e che derivava da una storia molto antica. 

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La produzione vinicola offre un’ampia offerta di vini di qualità: Chianti DOCG, Chianti Colli Aretini DOCG, Colli d’Etruria Centrale DOC, Valdichiana Toscana DOC, Cortona DOC, Valdarno di Sopra DOC, Vinsanto del Chianti DOC e i vini IGT.

Il vitigno principe della provincia è il Sangiovese, che dà il carattere ad una larga parte dei vini e si riconosce per il suo frutto e freschezza. A base sangiovese sono il Chianti DOCG e la sottozona Chianti Colli Aretini DOCG: vini fruttati, sostenuti da un'acidità vivace e tannini morbidi.

Si sono poi diffusi anche vitigni a carattere “internazionale” come il Cabernet Sauvignon e il Merlot, che producono vini di grande potenza e ampiezza olfattiva e di intensa colorazione. Nei filari che per secoli hanno coperto le nostre colline, inoltre, sono sempre stati presenti vitigni “strani” e di alcuni di questi ancora oggi non sappiamo definire la varietà: sono i vitigni che in passato servivano da taglio al sangiovese ma che oggi hanno acquistato un valore eccezionale. Oggi, grazie al recupero di questi vitigni autoctoni “storici” (come il Canaiolo, la Malvasia, il Foglia Tonda, il Colorino, l’Orpicchio, la Lacrima del Valdarno, la Barsaglina ed altri ancora) i vini con lo “spirito del luogo” sono sempre più diffusi e apprezzati.

I vini della Valdarno di Sopra DOC, una delle DOC più giovani (riconosciuta nel 2011) che vanta però una storia tra le più antiche, sono ricchi di personalità e freschezza: Chardonnay, Sauvignon, Malvasia e Trebbiano per i vini bianchi; Sangiovese, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc per i vini rossi.

il vitigno Syrah, dal gusto fresco, deciso, elegante e potente è una varietà di uva che ha trovato l'ambiente ideale e il clima sulle colline che circondano Cortona. La leggenda che lega queste uve di origine presumibilmente mediorientale (dalla città persiana del Syrah) o mediterranea (da Siracusa) o francese (in tempi più moderni) ci parla di alcuni tralci di vite lasciati dall'occupazione Napoleonica. Il microclima, la qualità del suolo, gli effetti armoniosi del vento e del sole, in questa parte orientale della Toscana, hanno permesso il loro perfetto connubio con questo territorio, fino a raggiungere l'espressività di oggi.

In Valdichiana il primo disciplinare negli anni ‘70 tutelava solamente la denominazione del “Bianco Vergine Valdichiana”. Successivamente il Consorzio si adoperò per ampliare la gamma dei vini da tutelare, in coerenza alla tradizione enologica della Valdichiana che vantava anche altre tipologie di vini bianchi e rossi (a cui si aggiunsero poi vini frizzanti, spumanti e vinsanto).

Nella nostra provincia si producono ottimi vinsanto, prodotti con radici e origini che si perdono nella notte dei tempi, con madri centenarie che si tramandano di generazione in generazione. Il Vinsanto è interamente prodotto utilizzando varietà bianche di uva (Trebbiano Toscano, Malvasia, Grechetto), ma è presente anche la tipologia chiamata 'Occhio di Pernice' che utilizza uve rosse, in particolare il Sangiovese.

Oggi ogni vallata, ogni angolo del territorio provinciale aretino ha le sue eccellenze vinicole da presentare, in una pluralità rara.

L’Associazione Strada del Vino Terre di Arezzo si snoda per 200 km sul territorio provinciale: percorrerla non significa soltanto degustare o visitare le cantine, ma contestualizzare aromi e profumi, concepire il vino come una filosofia di vita, sperimentare e vivere le radici più vere di chi abita in campagna, una ricchezza culturale e di tradizioni.

Se vuoi approfondire:

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