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a cura di Lions Club Arezzo Chimera

Ultimo periodo di ricchezza ed autonomia di Arezzo

a cura di Roberto Cecchi

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premesse

Siamo all'inizio del 1300. Arezzo è reduce dalla sconfitta nella piana di Campaldino, in quello scontro che tolse l'indipendenza alla città e che spazzò via una intera classe dirigente. Tra i caduti sul campo di battaglia quel sabato di giugno del 1289 c'è il vescovo, ma anche signore della città, Guglielmino degli Ubertini.

La conduzione aretina del Vescovo Ildebrandino Guidi, nominato subito dopo, appare abbastanza opaca. Era il più piccolo dei figli del conte Guido di Romena e di Maria di Uberto Pallavicini, da una famiglia di provata fede ghibellina fino al 1283 e di provata fede guelfa successivamente. La scelta di papa Niccolò IV era di rafforzare la presenza delle forze guelfe in Toscana. Ma ad Arezzo la lotta tra guelfi/ghibellini aveva assunto dimensioni importanti, tra i Verdi (guelfi e sostenitori di un governo popolare) ed i Secchi (ghibellini guidati dai Tarlati).

Tutto era stato fatto per distruggere Arezzo, la sua forza e la sua autonomia e nessuno avrebbe mai immaginato che Arezzo potesse più rialzare la testa

Nomina a Vescovo e Signore a vita

E' in questo contesto che nel 1312 papa Clemente V ad Avignone consacra Guido Tarlati da Pietramala, vescovo.

La Famiglia Tarlati era protagonista della politica del comune aretino praticamente dal suo esordio. Capofila della fazione ghibellina aretina anche quando questa non era ancora formalizzata, come attesta un documento del 1222 in cui la parte che sarà poi ghibellina viene definita pars Tarlati.

Egli, consapevole di quanto possano indebolire la città i contrasti interni, riappacifica la parte guelfa e quella ghibellina, mettendosi a fianco Bico Albergotti, di chiara parte guelfa. Risana le finanze del Comune, garantisce la pace, l’ordine e la giustizia, rende sicure le strade, porta avanti una politica delle opere pubbliche; riequilibria l’onere fiscale, in precedenza troppo sfavorevole per il contado rispetto alla città.

Propone ed ottiene l'incarico di seguire la costruzione delle nuove mura (a lavori ultimati, le mura civiche racchiudono una superficie di 107 ettari) per aumentare la sicurezza cittadina, ma anche per dare lavoro a migliaia di cittadini poveri per una decina di anni.

il suo comportamento gli fa ottenere di essere nominato nel 1321 signore a vita di Arezzo: nasce la Signoria.

Il Tarlati quindi risolleva la città dalla sconfitta di Campaldino, ed avvia nei primi decenni del Trecento un nuovo, intenso periodo di sviluppo, soprattutto a favore familiare, ma di cui si avvantaggia anche la cittadinanza; rivolgendo i propri scambi commerciali (non più fiorenti in Toscana), verso altri territori tirrenici, con la propria flotta mercantile, ma soprattutto verso la Romagna, l'Umbria, le Marche ed, attraverso l'Adriatico, fino alla Puglia. Arezzo esporta lane, guado (preziosa sostanza tintoria) ed armi. Importante per la ricchezza cittadina anche il contributo di famiglie ghibelline fuoriuscite da Firenze: tra tutte la famiglia Vieri dei Cerchi si trasferisce ad Arezzo con il suo patrimonio di 600.000 fiorini d'oro (equivalenti oggi a 90 milioni di euro)

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L'espansione del Comune

Se però la politica interna è all'insegna di una equidistanza, quella esterna invece vuole togliere potere a Firenze. Approfittando dell’impegno di Firenze in altri fronti, recupera la Rocca di Caprese, i castelli di Lucignano, Chiusi della Verna, Castel Focognano, Rondine e Monte San Savino, persi dopo Campaldino, Vogognano, Subbiano, Tulliano, Raggiolo (già dei conti Guidi) e nel 1321 acquistò Valenzano e Montefatucchio; rafforzando la presenza del vescovado aretino nel Casentino, dove già deteneva vari castelli, tra cui Bibbiena e Gressa. Questa espansione soprattutto a nord-est, per non volersi scontrarsi apertamente con Firenze o con Siena, e per seguire gli interessi commerciali prevalentemente rivolti al versante adriatico, come abbiamo visto, proietta la sua ombra nei territori filopapali dell’Umbria e delle Marche. Nel 1319 favorisce i colpi di mano ad Assisi e a Spoleto. Nel 1323 instaura a Città di Castello un governo ghibellino sotto l’egemonia aretina: il territorio controllato dal Comune di Arezzo è ora molto ampio; ed arriva a minacciare la parte costiera delle Marche e della Romagna meridionale.

Scomunica e incoronazione del Re d'Italia

Papa Giovanni XXII ben comprese che dietro le intenzioni del Tarlati di difendere i propri commerci, c'era anche il fine di indebolire il potere papale (in quel periodo facilitato dallo spostamento della sede pontificia ad Avignone); e così scomunicò Guido Tarlati (1325) e poi lo dichiarò eretico, nominando un nuovo vescovo. Ma l’autorevolezza del Tarlati ad Arezzo era ormai fuori discussione ed il nuovo vescovo (Boso Ubertini) non entrò mai in città. Venne anche instituita dal Papa la diocesi di Cortona (con un altro Vescovo Ubertini, Raniero), pensando così di indebolire l'avversario. Guido Tarlati invece godeva di un crescente prestigio nel mondo ghibellino italiano ancora resistente nel nord Italia. Basti pensare che dopo aver risposto all’invito di Ludovico il Bavaro, anche lui dichiarato eretico dal Papa, partecipa al Consesso tridentino che controdichiara eretico lo stesso Papa Giovanni XXII e, nel 1328, Guido Tarlati, a Monza, incorona come re d’Italia, con la Corona Ferrea, proprio Ludovico il Bavaro (che diventerà imperatore poi alla morte di Arrigo VII°), quasi come se egli fosse un pontefice.

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Ludovico il Bavaro
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Declino e decesso di Guido, declino di Arezzo

Questa posizione di ricchezza, prestigio e potere crea al nostro nemici ovunque e forse intimorisce lo stesso imperatore regnante Arrigo VII: dopo neanche un anno, con il pretesto di un suo atteggiamento troppo prudente nei confronti dei Guelfi, sotto le mura di Pisa gli preferisce il lucchese Castruccio Castracani. Guido Tarlati dopo un tragico diverbio con quest’ultimo e lo stesso Imperatore, fa mestamente ritorno nella sua città ma muore improvvisamente durante il viaggio.

Impossibile non notare i tratti di somiglianza tra Guido Tarlati e Guglielmino degli Ubertini. Entrambi provenienti da famiglie nobili e potenti, entrambi vescovi ma soprattutto signori della città di Arezzo. Due figure storiche che hanno rafforzato il potere e l'influenza aretina nei territori limitrofi, cercando l'ordine, la giustizia e la prosperità.
Due personaggi che condividono anche l'ultima dimora dello loro spoglie mortali. Il monumentale cenotafio costruito per Guido Tarlati in quella Cattedrale di Arezzo, che iniziata da Guglielmino degli Ubertini prima di C
ampaldino, lui portò quasi allo stato in cui la vediamo oggi,  è stata definita la più grande opera funeraria del gotico italiano.

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A Guido Tarlati succede nella signoria il fratello Pier Saccone (1327), con il quale inizia un rapido processo di decadenza; nel 1337 la città viene ceduta una prima volta a Firenze. Recuperata l'indipendenza ma falliti diversi tentativi di instaurare un governo signorile, si giunge tra il 1376 ed il 1384 ad una prolungata crisi politica, durante la quale la città è ripetutamente messa a sacco. Nello stesso 1384, Arezzo è nuovamente conquistata dai francesi e ceduta a Firenze dal condottiero Enguerrand de Coucy per 40 mila fiorini d'oro e definitivamente legata alle sorti della "dominante", Arezzo perde, assieme all'indipendenza, gran parte della sua autonomia culturale ed artistica. In tale critico momento artistico da segnalare peraltro l'affidamento a Piero della Francesca degli affreschi del coro della chiesa di S. Francesco: nasce il celebre ciclo della Leggenda della Vera Croce, destinato ad entrare nel novero dei capolavori dell’umanità

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Qualora stanco di curiosare qua e là, perché molto curioso di approfondire:
Il Castello di Romena: storia e leggenda dei suoi signori
Interferenza del 'Climate Change' del '300 nella storia di Arezzo
e la sua continuazione:
La Piccola Era Glaciale
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