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a cura di Lions Club Arezzo Chimera
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Buccheri

Ceramica aretina a vernice nera

I buccheri etruschi sono vasi dal tipico colore nero, sia sulla superficie, più o meno compatta e lucente, sia nel corpo ceramico. Si tratta infatti di una particolare cottura in assenza di ossigeno per impedire l'ossidazione che faceva assumere la tipica colorazione aranciata ai minerali di ferro contenuti nell’argilla.

La parola “bucchero” peraltro non è etrusca, ma spagnola, e designava una ceramica nera, simile alle ceramiche etrusche, provenienti dal sud-america proprio nello stesso periodo in cui venivano storicamente riscoperti i vasi etruschi, che presero dunque lo stesso nome.

La ceramica nera etrusca si deve alla volontà di creare oggetti che somigliassero ai più costosi servizi in bronzo. L’uso di crateri, brocche, calici e mestoli in bronzo era infatti previsto durante i banchetti degli esponenti più ricchi della società etrusca, che molto probabilmente aveva assimilato questa abitudine dai Greci, con i quali da secoli intrattenevano rapporti commerciali.

All'inizio, nel VII secolo a.C., si hanno ancora esempi di riduzione parziale, con terrecotte di colore bruno. Gli esemplari migliori sono apparsi a Caere (Cerveteri) nel sud dell'Etruria, a metà del VII° sec. a.C. e il più curato è forse il prodotto di una singola bottega: Le pareti raggiungono la sottigliezza del protocorinzio e la superficie è di un nero profondo con un alto grado di brillantezza. Dopo il 650 a.C. tale fattura viene adottata da una pluralità di laboratori nel resto dell'Etruria del Lazio e della Campania, ma la qualità si riduce con pareti spesse, colorazione più chiara e opaca, decorazioni semplificate: si arriva a quella che si chiama più propriamente ceramica etrusca a vernice nera.

E’ preliminare distinguere, nella produzione ceramica aretina a vernice nera due periodi: dal IV al II sec. a.C. la ceramica nera aretina non si distingueva da quella creata in tutto lo stivale italico. Ma nel I° Sec. a.C. si avrà la transizione dal vasellame tradizionale al nuovo a vernice rossa, in concomitanza alle Guerre Civili ed al passaggio dalla Repubblica Romana all’Impero, al secolo di Augusto.

Nel primo periodo (IV°-II° Sec. a.C.) Arezzo contava molte botteghe che producevano vasellame tradizionale a vernice nera. Alcune importanti per quantità di vasellame prodotto, con diffusione a livello regionale ed esportazione. Al di là di alcune differenze di impasto, che possono distinguere non solo i prodotti greci da quelli etruschi, bensì addirittura i prodotti di una bottega da quelli di un’altra, di un periodo o di un altro; disegni, forme, piedini e bordi, ad es. differenziavano la produzione dell’Etruria marittima e di Volterra, da quella dell’Etruria interna.

Ma nel I° Sec. a.C. si vira verso un sistema di produzione semi industriale che permette il confezionamento di quantitativi enormi attraverso la razionalizzazione della produzione e dei trasporti di un particolare tipo di vasellame chiamato a campana B, che permetteva di creare piatti (patere), ciotole, bicchieri, pissidi, saliere o contenitori di unguenti, ed altro ancora. E la produzione aretina di questo vasellame a campana B si differenzia non poco anche da altre produzioni a campana B eseguite in altre zone dello stivale: le forme si fanno più angolose e richiamano più la lavorazione di prodotti in lamina di metallo (ai quali la ceramica in vernice nera desidera da sempre richiamarsi, sia nel colore, sia nella sonorità che tende ad esprimere), piuttosto che la lavorazione di terraglie di altri luoghi. Compaiono contemporaneamente delle stampiglie e, in seguito, dei veri e propri marchi di fabbrica, che si perpetueranno sul vasellame a vernice rossa. Esisterà un breve periodo di passaggio (decine di anni) in cui il vasellame a vernice nera e quello a vernice rossa coesisteranno. Pare che il passaggio alla base rossa sia stata stimolata da artigiani greci od ancor più orientali che giungono ad Arezzo dopo aver prestato servizio nell’esercito, sotto Silla, Pompeo, Cesare.

La comparsa delle ceramiche a vernice rossa si deve nel Mediterraneo occidentale ad Arezzo e, come detto, resisteranno 6-7 secoli, ben più di quanto già non fosse stato per quella a vernice nera. I vantaggi erano innegabili: si passava da una fattura a tornio ad una fattura a matrice; da uno spessore (ed un peso) maggiore ad una fattura più sottile e leggera ma non meno resistente.

Tale passaggio pone Arezzo in quel periodo al centro degli sconvolgimenti che, nella cultura materiale come in altri campi, accompagnarono la transizione dalla Repubblica all’Impero; dal periodo delle Guerre Civili – nel quale Arezzo aveva tanto sofferto, ma che produsse l’inserimento in città di reduci militari, favorendo quella contaminazione che porterà alla ceramica sigillata – a quello del secolo di Augusto, uno dei più fulgidi per la nostra città.

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Bùcchero, vocabolario Treccani

Bucchero sull'Enciclopedia italiana​

M. Martelli, Bucchero, in Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale (Secondo supplemento), Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1994.

Robert Manuel Cook, Greek Painted Pottery, London ; New York, Routledge, 1997

Mauro Cristofani, Dizionario illustrato della civiltà etrusca, Firenze, Giunti, 1999

Jean Gran-Aymerich, Les Vases de Bucchero. Le Monde Étrusque entre Orient et Occident; Roma, L'Erma di Bretschneider, 2017

Jean Paul Morel, Le Produzioni Ceramiche a vernice nera di Arezzo, su Arezzo nell’antichità, Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, Arezzo

Museo Civico Archeologico, Bologna

Wikipedia

Jastrow/Wikimedia Commons

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