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Storia idrologica della Val di Chiana

Da Plinio il Vecchio a Leonardo da Vinci a Pietro Leopoldo, l’affascinante storia della Valle del Clanis

Ovvero come gli interessi (i soldi) mandano l’acqua ‘all’insù’

a cura di Roberto Cecchi

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Sotto gli Etruschi la valle fu mantenuta a lungo talmente fertile e produttiva da essere conosciuta come “granaio dell’Etruria” fino alla fine dell’età Romana. Il Clanis aveva una portata d'acqua sufficiente a renderlo navigabile, come riportato da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia (III.53).

Ed ancora sotto i Lorena “La Val di Chiana è di tutte le parti della Toscana la più fertile, la più popolata e la più importante. Questa valle che comincia dalle Poggiola, 3 miglia distante d’Arezzo, è larga fra le 4 e le 7 miglia, è circondata da colline e più indietro da montagne”. Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena Relazioni sul Governo della Toscana a cura di A.Silvestrini, Firenze 1974,vol. II pag.54

e ciò, malgrado tutte le vicende che vedremo soprattutto (ma non solo) nel corso del Medioevo e del Rinascimento, quando Orvieto, Arezzo, Perugia, Siena e Firenze dovettero fare i conti con il dissesto idrogeologico che aveva provocato il progressivo impaludamento della zona. Tanto che Dante Alighieri nel canto XXIX vv. 46-49 dell’Inferno descrive così l’ambiente malsano della valle:

Qual dolor fora, se de li spedali
di Valdichiana tra il luglio e il settembre
e di Maremma e di Sardigna i mali

fossero in una fossa tutti insembre;

tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
qual suol venir de le marcite membre.

Sotto il dominio fiorentino vengono avviati vari tentativi di bonifica (affidati a Galileo Galilei, Evangelista Torricelli, Vincenzo Viviani), ma il divieto di far defluire le acque verso l'Arno ne impedisce il successo. Vedremo di seguito gli interessi spesso contrapposti che hanno caratterizzato la strana storia di questa valla e dei suoi corsi d’acqua.

Infine l'opera di bonifica, protrattasi per oltre 1500 anni, si concluderà a metà del Novecento (ammesso che sia conclusa! xché necessita di continua manutenzione).

Fino all’epoca romana la valle era percorsa in tutta la sua lunghezza dal fiume Clanis, oggi Chiana. Ma prima ancora, nell’antichità, l'Arno Casentinese percorreva la valle del Clanis (oggi Val di Chiana) verso sud unendosi al Tevere presso Orvieto. Circa 2500 anni fa l'Arno terminò di erodere l'odierna soglia d'ingresso nel Val d’Arno Superiore con l'opera degli Etruschi, abbandonò definitivamente il Ramo Teverino affluente della Val di Chiana e creò l’attuale fiume Arno.

Lungo il corso del Clanis sorsero quattro lucomonie etrusche: Arezzo, Cortona, Chiusi e Orvieto.

I cereali di cui era ricca la valle del Clanis erano stoccati e lavorati nel porto romano oggi detto “di Pagliano” alla confluenza tra Clanis e Tevere, e da lì portati con imbarcazioni più grandi al porto imperiale di Roma. In questo periodo Chiusi e Arezzo divennero strategici municipi, mentre Cortona e Orvieto persero d'importanza. Quasi parallelamente al Clanis, Roma costruì la Cassia Vetus (II secolo a.C.), che consentiva il collegamento tra Roma, Sutri, Bolsena, Chiusi, Arezzo, Fiesole e Pisa.

Nel 17 d.C. il Senato romano vagliò il progetto d'invertire una parte delle acque del fiume Clanis per portarle in Arno, ma esso, dopo lunga discussione, non fu messo in pratica. Furono nondimeno realizzate alcune chiuse di piccole dimensioni per rendere il Tevere navigabile durante le secche estive, in occasione delle nundinae; da tali piccole chiuse l'acqua era rilasciata periodicamente per fare arrivare le imbarcazioni fluviali al porto di Ripetta (Trastevere) senza che si arenassero.

Nell'alto medioevo l'intero bacino del Clanis ebbe come unica capitale Chiusi (Clusium), prefettura bizantina, capitale di ducato longobardo, capitale di gastaldo e, dal 900 circa, capitale della marca meridionale della Tuscia lucchese. Sul finire del secolo X si ricostituì l'impero germanico e si affrancarono emergenti città-stato quali Arezzo, Orvieto, Perugia e Siena che lottavano per ampliare il loro territorio a danno della antica capitale “Clusina”. Per conquistarla, gli Orvietani fra il 1052 e il 1055 costruirono una grande diga (il Muro grosso) nel fondovalle vicino a Fabro per allagare la valle e isolare Chiusi, impedendo a Perugia di raggiungerla nonché a Siena di conquistare gli opposti crinali. Il fondovalle e la Cassia furono quindi inondati e a monte del grande invaso, a causa dei sedimenti che si depositavano agli estuari dei torrenti, con effetto a catena cominciò l'impaludamento che alla fine del secolo XI raggiungerà la piana di San Zeno presso la città di Arezzo.

Il Muro Grosso allagava una valle dalla pendenza minima se ne avvantaggiò il mulino di Ficulle che a sud di Fabro, lavorava senza sosta anche d'estate, con lauti guadagni per i proprietari. Più a nord, nel secolo XIV, a seguito della costruzione di un canale artificiale (fossatum novum) che drenasse le acque paludose dalle Chiane in Arno, i monaci del monastero di SS. Flora e Lucilla di Arezzo (L’attuale Badia) abbandonarono il loro mulino sul torrente Castro per erigere un'industria molitoria nuova nell'artificiale fossatum novum (oggi "canale maestro") che, ampliato a più riprese, aveva molta più acqua del Castro; costruendovi il serbatoio-diga detto “chiusa dei Monaci”, inizialmente ligneo e distrutto più volte dalle acque di piena. I monaci intravidero subito nell'uso delle acque delle Chiane un'attività molitoria che permetteva loro di lavorare annualmente senza interruzione: la chiusa segnerà l’inizio della fine del molino di Ficulle e la fortuna del molino dei monaci; ma non migliorò certo la salubrità della valle dove purtroppo si moriva spesso di malaria.

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All'inizio del Cinquecento Leonardo da Vinci rappresenta la val di Chiana ‘a volo d’uccello’ (come se avesse posseduto un drone) completamente impaludata, con il displuvio spartiacque situato, in quel momento, nella pianura sottostante il castello di Foiano della Chiana.

Dal 1551, su impulso dei Medici e del vescovo di Melfi, con il beneplacito del papa toscano Giulio III, l'ingegnere Rafael Bombelli fu incaricato di abbattere la diga del Muro Grosso e bonificare il fondovalle verso Chiusi; analoghe bonifiche furono iniziate verso Arezzo. Ovviamente morto Giulio III (1555), i lavori di bonifica tra Chiusi e il Muro Grosso si arrestarono per volontà di potenti famiglie romane antimedicee, che boicottarono i lavori di bonifica del Bombelli. Anzi nel 1600 papa Clemente VIII ripristinò il Muro Grosso e fece altre due dighe (Bastione di Clemente VIII e Buterone) a ridosso di Chiusi, inondando per la seconda volta la valle con il pretesto di proteggere Roma dalle alluvioni (l'alluvione di Roma del 24 dicembre 1598 ebbe altre cause - mulini natanti incastrati nei ponti in pietra sul Tevere - ma Clemente VIII, di famiglia antimedicea, incolpò pretestuosamente la val di Chiana). Non contento nel 1601 Clemente VIII (nato Ippolito Aldobrandini a Fano) creò la diocesi di Città della Pieve, ponendovi un vescovo di sua fiducia, per presidiare le dighe pontificie e i confini. Malgrado ciò le successive progressive bonifiche permisero il recupero di molte terre agricole. La bonifica in Toscana fu proseguita dai tecnici granducali e dai Cavalieri di Santo Stefano che destinavano le rendite delle fattorie alla flotta militare toscana. Dopo tali opere di bonifica granducali, lo Stato Pontificio, giudicato insufficiente il Muro Grosso, costruì e ultimò anche la diga del "Campo alla Volta". Così, per tutelarsi dalle acque che di nuovo risalivano e dopo la mancata stipula di un concordato, nel 1718 il Granduca eresse a Valiano di Montepulciano una diga a sua volta, con regolatore centrale (Callone). Per contropartita, nel 1726 lo Stato Pontificio realizzò un analogo regolatore nella diga Campo alla Volta denominato Callone Pontificio, modificato nel 1780. Nella parte toscana il canale costruito su quello che una volta era stato il fiume Clanis, fu reso navigabile ad uso commerciale per il trasporto delle derrate su navicelli da settembre a maggio, con una larghezza di circa mt. 6.

Nel 1780 si stipulò finalmente un nuovo concordato per posizionare l'argine spartiacque tra la val di Chiana Toscana e quella Romana tra Chiusi Scalo e Po' Bandino. Nel 1792 il Muro Grosso fu parzialmente modificato nella parte centrale e la Chiusa aretina, alta circa 12 m, fu abbassata di 2 braccia (m. 1,17). Sul finire del secolo XVIII Vittorio Fossombroni, incaricato di proseguire la bonifica delle Chiane, anziché abbattere la Chiusa dei Monaci onde prosciugare velocemente una buona parte della Val di Chiana, continuò le colmate. Ma l'ing. Alessandro Manetti suo successore, accortosi d'incongruenze valutative nel progetto fossombroniano, con l'approvazione del Granduca, fece abbattere la chiusa dei Monaci e realizzò gli allaccianti di destra e di sinistra del canale maestro della Chiana ancor oggi funzionanti, perno del sistema idraulico delle acque di collina della Val di Chiana.

Dopo l'epoca granducale la bonifica fu proseguita da tecnici del Genio Civile di Arezzo; altri lavori furono eseguiti nel sec. XX. Oggi, per precise scelte politiche e notevoli opere di colmata degli ultimi secoli, il punto più alto del fondovalle originale è a Chiusi Scalo dove esiste l'argine di separazione tra Val di Chiana toscana (Chiusi-Arezzo) e Val di Chiana romana (Chiusi-Tevere).

A documentare la vasta palude che occupava il fondovalle vi sono ancora numerosi toponimi che ricordano gli antichi scali dei traghetti (detti popolarmente "Passi") che si affacciavano sullo specchio d'acqua. Ancora nel XVIII secolo erano presenti: Ponte alla Nave; Pieve al Toppo, scalo e "passo" per Arezzo. I porti di Pigli, Puliciano, Alberoro, Cesa, Brolio, Foiano, Torrita, Bettolle, Farneta, Creti, Cortona o le Chianacce, Querce Grossa Callone di Valiano.

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Lungo il Canale Maestro della Chiana corre Il Sentiero della Bonifica, che ne segue l'argine dall'origine alla foce. Un tempo costituente la strada utilizzata per la manutenzione del canale, il Sentiero della bonifica è oggi aperto alla circolazione pedonale e di biciclette.

L'ittiofauna del canale è assai varia e simile a quella del vicino lago Trasimeno: alborelle, anguille, carassi, carpe, cavedani, gambusie, lucci, pseudorasbore, persici reali, persici sole, persici trota e tinche. Nella parte alta del canale, invece, si ritrovano alcune specie ittiche dell'Arno, quali barbi tiberini, cavedani etruschi, rovelle e vaironi.

Nonostante la suddetta varietà ittiofaunistica, ormai da diversi anni le acque del canale presentano allarmanti fenomeni di inquinamento. Costituendo il sistema drenante delle acque chianine, su di esso si raccolgono gran parte degli scarichi dei centri abitati locali e dei rifiuti industriali. Le numerose stazioni di rilevamento installate hanno segnalato addirittura la presenza di metalli pesanti altamente tossici, palesando la necessità di un impianto di trattamento delle acque reflue.

In bici nella Toscana della natura e dell’uomo

Percorrere il sentiero lungo il Canale Maestro della Chiana è un viaggio nel tempo e negli elementi: si pedala o si cammina nel cuore della civiltà etrusca e nel segno delle acque in un territorio disegnato dalle forze della natura e dalle mani dell’uomo.
La storica opera di bonifica iniziata nel XVI secolo ha trasformato la Val di Chiana in un importante centro agricolo; ancora oggi l’economia locale è fortemente radicata ai prodotti della sua terra: si attraversano le strade del formaggio e della frutta, dell’olio, del vino e della carne bovina di razza Chianina (vv Enogastronomia). Tra Arezzo e Chiusi molteplici sono le possibilità di entrare in sintonia col cuore di una terra tutta da vivere, nel segno della storia e dell’arte lungo la storica via d’acqua, lasciandosi tentare dalle eccellenze di un territorio che, al di là delle etichette, profuma di autenticità.

Il sentiero ciclopedonale del Canale Maestro della Chiana che unisce Arezzo con Chiusi e che si inoltra fino al sito archeologico del Sodo a Cortona e , è un percorso di circa 62 +12 km. attrezzato e protetto per chi viaggia lentamente, in bici o a piedi. L’antica strada utilizzata per la manutenzione del canale e delle chiuse costituisce infatti un tracciato naturale privo di dislivelli e particolarmente adatto ad un turismo sportivo familiare.

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