a cura di Lions Club Arezzo Chimera
La Leggenda della Vera Croce
La Basilica di San Francesco è scrigno di uno dei capolavori assoluti dell’arte italiana:
uno dei cicli pittorici rinascimentali più famosi e conosciuti in tutto il mondo
La leggenda della Vera Croce racconta la storia del legno sul quale venne crocifisso Cristo, spesso tramandata in letteratura e rappresentata in opere d'arte. La storia ricollega il legno utilizzato per la crocifissione con l'albero della vita del paradiso terrestre e ha, quindi, un chiaro insegnamento teologico: la crocifissione di Gesù non è stato un "incidente di percorso", ma era prevista sin dalla fondazione del mondo (come insegnano le Scritture, soprattutto l'Apocalisse di Giovanni); la passione di Gesù, inoltre, ha offerto nuovamente all'umanità la vita eterna perduta.
La versione più nota è quella che fa parte della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, opera composta nel XIII secolo.
La leggenda della vera croce e la sua iconografia.
La disseminazione dei cicli figurativi in prospettiva europea
Enciclopedia Costantiniana (2013) – Treccani - Barbara Baert
Deve esserci stato un tempo in cui il legno della croce di Cristo esercitava una fascinazione così potente, che le persone si consumavano nell’intimo dal desiderio di vederlo, toccarlo, baciarlo se possibile. Era il tempo in cui il cristianesimo cominciava timidamente a emergere dalla sua lotta contro la discriminazione, e il suo espandersi come fede religiosa si manifestava all’esterno con il sorgere di nuovi luoghi di culto da Roma a Costantinopoli, da Gerusalemme a Edessa (Mesopotamia). Fu in questo tempo, secondo la leggenda, che un giudeo e una regina cristiana scavarono a fondo la terra e trovarono ciò cui tutti ardentemente aspiravano: la vera croce.
… Era nelle venature vive di quel legno che il sangue di Cristo si era riversato; e quel legno era stato un tempo un albero, anzi il più antico e più nobile tra tutti: l’Albero della Vita cresciuto in paradiso. Questi misteri sono riuniti nella cosiddetta ‘leggenda della vera croce’.
Lo studio di questa leggenda abbraccia culti di reliquie, vie di pellegrinaggio, racconti di viaggiatori e il mito dell’Albero della Vita; coinvolge Padri della Chiesa, re crociati, cavalieri teutonici e ordini mendicanti: tutto ciò che ne influenzò la rappresentazione pittorica, dalle prime figurazioni in manoscritti, reliquiari e pale d’altare fino ai grandi cicli monumentali del basso Medioevo. Se il sacro legno fornì al Medioevo il supporto materiale della memoria, i cerchi annuali della crescita di una produzione d’immagini durata quindici secoli ci sono rivelati dalla leggenda della vera croce...
Il processo di formazione ebbe luogo tra il IV e il XII secolo, e si dispiegò nei diversi volgari europei con innumerevoli varianti e interpolazioni lungo tutto il Medioevo. Questo groviglio di tradizioni testuali, così come l’impatto della parola scritta sull’arte figurativa e sulla cultura materiale, ci documenta fino a che punto la gente venne tempestata di supposizioni circa l’origine del legno della croce di Cristo. Oggi raggruppiamo queste idee alla voce ‘leggenda della croce’, ma tale leggenda consiste in realtà di tre tradizioni separate: del ritrovamento (o invenzione), dell’esaltazione, e del legno della croce. …
La leggenda della vera croce e la sua iconografia.
La disseminazione dei cicli figurativi in prospettiva europea
Enciclopedia Costantiniana (2013) – Treccani - Barbara Baert
La ricezione della leggenda della croce in questa sua forma sintetica procede di pari passo con la straordinaria fortuna della Legenda aurea. Poiché quest’ultima offriva il riferimento letterario standard del calendario liturgico, divenne chiaro a tutti che il racconto bipartito della festa del 3 maggio (legno della croce e imperatrice Elena) era in realtà uno solo, e che i fatti in esso narrati avevano una continuazione nella festa del 14 settembre (Eraclio). Con Iacopo da Varazze si può incominciare a parlare sinteticamente di quella ‘leggenda della croce’ che trova riscontro nell’iconografia dei cicli pittorici.
Quelli toscani sono molto noti e studiati. Il ciclo di Agnolo Gaddi in Santa Croce a Firenze, nella cui Cappella Maggiore i tre rami della leggenda vennero riuniti secondo la Legenda aurea, fu preso a modello per cicli analoghi a Volterra (1410) ed Empoli (1425). Una fonte d’archivio di Montepulciano ci informa che nel 1415 la Compagnia della Santa Croce finanziò a Nanni (Giovanni) di Caccia un viaggio a Firenze affinché potesse trarre disegni degli affreschi di Agnolo in Santa Croce.
I francescani favorirono il tema della leggenda per vari motivi. Secondo le loro tradizioni, san Francesco aveva ricevuto le stimmate il 14 di settembre, festa dell’Esaltazione della croce. Inoltre, attorno al 1340 essi erano diventati custodes del Santo Sepolcro in Gerusalemme. Anche la metafora teologica del lignum vitae della croce si sviluppò in ambiente francescano. …
La funzione di modello che questi cicli esercitarono l’uno all’altro deve perciò essere riguardata nel contesto dell’ordine francescano. Tale funzione si prolungò nel ciclo affrescato da Piero della Francesca in Arezzo (prima del 1466). È stato Carlo Ginzburg a richiamare per primo l’attenzione su un possibile influsso da parte del concilio di Ferrara-Firenze durante il quale, il 6 luglio 1439, il cardinale Bessarione (1403-1472) firmò l’atto d’unione fra Roma e Costantinopoli. Il 10 settembre 1458 il cardinale fu nominato patrono ufficiale dei francescani, e noi sappiamo che all’incirca nello stesso periodo egli era in corrispondenza con umanisti come quel Giovanni Bacci che commissionò il ciclo di Arezzo. In altre parole, la leggenda della croce pierfrancescana è la massima espressione dei contatti diplomatici corsi tra l’Oriente e l’Occidente cristiani. L’incontro di Salomone con la regina di Saba dovrebbe perciò essere considerato quale un riferimento molto concreto alla mediazione che ebbe luogo al concilio di Ferrara (per inciso, a Ferrara, attorno al 1440, diversi tondi furono prodotti sullo stesso tema). Questa teoria è oggi comunemente riconosciuta e accettata.
… Ma la ricerca più recente suggerisce che la posizione di privilegio della Toscana va sfumata, e in misura significativa. Sondaggi esplorativi in zone cosiddette marginali inducono a decentrare la prospettiva tanto in Italia (Lciano in Abruzzo, Andria in Puglia) quanto nel resto d’Europa,
ma ciò esula da questa nostra disamina
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Gli affreschi vennero "riscoperti" a metà del XIX secolo, quando si risvegliò l'interesse verso Piero della Francesca a partire dai viaggiatori e gli studiosi inglesi. Il primo articolo in cui si acclamava Piero fu scritto nel 1858 da Austen Henry Layard. Con la costruzione della prima linea ferroviaria per Arezzo a metà degli anni sessanta dell'Ottocento, gli artisti inglesi, si riversarono a vedere gli affreschi di Arezzo e di Sansepolcro, dove apprezzavano la "laicità" della sua nuova scienza prospettica e l'ispirazione che, secondo loro, derivava dall'arte greca, baluardo dei neoclassici. Lo stesso Edgar Degas visitò Arezzo, traendo ispirazione per opere come Semiramide alla costruzione di Babilonia, oggi al Museo d'Orsay, o i Giovani spartani alla National Gallery di Londra.
Più modernamente si sono occupati di Piero Adolfo Venturi nel 1911, poi Roberto Longhi nel 1913 ed ancora Seurat. Ed ancora Gabriele d’Annunzio che ha definito gli affreschi di San Francesco «il giardino di Piero», Andrè Suarès, William Weaver e i premi nobel Josè Saramago e Gabriel Garcia Marquez. Anche Pier Paolo Pasolini si trovava ad Arezzo negli anni 60: la visita alla cappella Bacci ispirò il componimento poetico “La ricchezza” che apre la raccolta “La religione del mio tempo”. Il ciclo della Vera Croce è presente in una delle scene più famose del film “Il paziente inglese” del regista americano Antony Minghella: Hana e l’arteficiere entrano in una chiesa abbandonata. La facciata è quella del Duomo di Montepulciano ma l’interno è quello della cappella Bacci. Una visione di perfezione, arte e spiritualità in mezzo a tanta devastazione. Nell’album Banga del 2012 di Patty Smith c’è una canzone dal titolo Constantine’s dream, scritta grazie al sodalizio artistico con la Casa del vento, che inizia così: “In Arezzo I dreamed a dream”.
Le Storie della Vera Croce di Piero della Francesca
costituiscono un ciclo di affreschi conservato nella cappella maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo. Iniziato da Bicci di Lorenzo, venne dipinto soprattutto da Piero della Francesca, tra il 1452 e il 1466, che ne fece uno dei capolavori di tutta la pittura rinascimentale.
Nel 1417 era morto Baccio di Maso Bacci, un ricco mercante di un'importante famiglia aretina, nelle cui disposizioni testamentarie era previsto un generoso lascito per la decorazione del coro della basilica francescana. Iniziative del genere non erano infrequenti nei testamenti tra Medioevo e Rinascimento, ed erano una sorta di riconciliazione religiosa di individui di successo che si erano arricchiti in maniera non del tutto tollerata dalla Chiesa, come il prestito e il "cambio", che all'epoca erano considerati peccato di usura.
I lavori vennero affidati all'attempato artista fiorentino Bicci di Lorenzo, maestro di una delle più attive botteghe della città toscana dallo stile piuttosto ancorato al passato. Bicci di Lorenzo iniziò a dipingere i pennacchi della volta, ma nel 1452 si ammalò gravemente e morì. Giovanni Bacci, figlio di Francesco, che aveva intensi rapporti con i circoli umanistici aretini, chiamò allora un artista della nuova corrente artistica, scegliendo Piero della Francesca, che era ormai ben noto oltre i confini della sua Sansepolcro ed aveva già lavorato per corti importanti quali Ferrara, Rimini e Urbino.
I lavori furono interrotti negli anni 1458-1459, quando Piero fu a Roma, alla corte papale di Pio II, dove eseguì nel Palazzo Apostolico affreschi ben documentati ma oggi perduti. Qui entrò in contatto con artisti di altre scuole, in particolare fiamminghi, che influenzarono il suo stile, come si legge nelle caratteristiche diverse degli affreschi aretini della seconda fase, dipinti dopo il soggiorno romano.
Gli affreschi della Vera Croce risultavano terminati entro il 1466.
Descrizione
Gli affreschi sono posti su tre livelli sulle pareti laterali e sul fondo, senza alcuna intelaiatura architettonica. Le storie della Vera Croce sono narrate dagli avvenimenti della Genesi fino all'anno 628, quando il legno della santa Croce, dopo essere stato rubato, venne riportato a Gerusalemme. Le fonti delle Storie sono la Bibbia e soprattutto la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, raccolta di agiografie estremamente popolare nel Medioevo e nel Rinascimento, scritta dal vescovo ligure tra il 1224 e il 1250.
Piero si discostò dai modelli precedenti. Egli inoltre non si curò dell'andamento cronologico, privilegiando un criterio meramente estetico-formale, che creasse effetti di simmetria, senza per questo impedire rispondenze filosofico-teologiche tra scene che si fronteggiano. In alto ad esempio, sia nella parete sinistra che in quella di destra è rappresentata una scena all'aperto, mentre nel registro mediano si trovano due scene di corte su sfondo architettonico, e, in basso, due battaglie. A determinate scene dell'Antico Testamento inoltre si contrappongono altre del Nuovo.
Elenco delle scene
Le scene possono esser quindi lette in un ordine cronologico o nell'ordine di lettura naturale, che va dal registro superiore a sinistra (lunette), alle due scene sulla parete centrale ai lati della finestra, fino alla parete destra, riprendendo poi nel registro mediano e in quello inferiore con lo stesso ordine. L'ordine di lettura cronologico invece inizia nella lunetta destra e termina, ciclicamente, nella lunetta sinistra.
Manca un affresco della Crocifissione, ma ciò era giustificato dalla presenza, tuttora in loco, di un grande crocifisso ligneo dipinto attribuito al Maestro del San Francesco Bardi (XIII secolo), appeso sopra l'altare maggiore al centro della cappella.
Stile
Spesso Piero della Francesca unificò affreschi contigui, con il paesaggio ininterrotto (Sollevamento e Adorazione della Croce) o con altri stratagemmi, come le due case scorciate tra il Ritrovamento e Verifica della Croce e la Tortura dell'ebreo, che insieme sembrano comporre un unico edificio irregolare. In generale le regole compositive degli affreschi sono le medesime, con figure in primo piano di dimensioni analoghe e con una visione leggermente adattata per uno punto di vista dal basso.
A parte la scena di Adamo, i personaggi antichi sono raffigurati secondo la moda e il gusto contemporaneo all'artista: i re, le regine e il loro seguito vestono come in una corte italiana rinascimentale, Eraclio e Costantino sono raffigurati come imperatori bizantini; gli eserciti romani utilizzano gonfaloni medievali, i cavalieri romani indossano in parte armature "all'antica" e in parte armature complete di ferro in uso nella metà del 1400.
Un elemento unificatore è la luce, modulata su quella naturale della finestra centrale della cappella. Per questo i due profeti, sulla parete centrale, sembrano illuminati da dietro, come se fossero proiettati verso lo spettatore.
La luce in realtà, bianca e fredda, è un'invenzione dell'artista, non corrisponde alla luce naturale è una luce mentale. Contribuisce, insieme alle ombre, alla costruzione dello spazio, tanto che ci fa vedere perfettamente a fuoco anche le cose più lontane. La luce rende la pienezza dei volumi, rivela ogni forma come un solido geometrico luminosissimo, aumenta la solennità delle figure scultoree.
Di straordinario valore è la scena notturna del Sogno di Costantino, la prima veduta notturna pienamente convincente dell'arte europea prima di Caravaggio. Alla luce miracolosa divina, si aggiunge il chiarore naturale dell’alba in un cielo in cui sono ancora visibili le stelle; stelle non disposte a caso: Piero ha studiato l’astronomia ed ha raffigurato le costellazioni non come si vedono dalla Terra ma come si vedrebbero dall’alto: come le vedrebbe Dio se volesse voltarsi in basso per parlare ad un umano (Aldo Cazzullo, Quando eravamo i padroni del mondo).
Tecnica e modalità di esecuzione; geometria e matematica
Si tratta di un affresco con rifiniture a olio a secco. L’artista inizia a lavorare dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra impiegando 250 giornate di lavoro divise in 7 pontate.
Tra le cose che potranno essere notate con una visita guidata agli affreschi, oltre alla storia della leggenda, sono gli importanti spunti presi da Masaccio; la precisione matematica e geometrica della pittura di Piero della Francesca con una architettura disegnata con grande precisione matematica; l’uso della prospettiva scientifica; l’armonia compositiva esaltata dall’uso dei colori; la luce, di cui abbiamo già detto.
All'interno di ogni singola scena inoltre Piero dispone figure ed elementi visivi (colori e forme) secondo un ordine chiaro e razionale. Coerentemente allo stesso principio vengono considerati anche gli intervalli, gli spazi vuoti tra un elemento e l'altro.
Si tratta di un criterio che secondo diversi studiosi corrisponde a principi di armonia musicale (anch'essi impostati sulla matematica) fatti di tempi, di note, e pause. Questo spiega anche l'uso di figure o elementi ripetuti con delle varianti (ad esempio la composizione a croce, o personaggi rappresentati da un lato e dall'altro, l'uso di colori complementari accostati, ecc.) che rinvia a frasi musicali in cui si riprendono gruppi di note e strutture sonore. Spesso in questi affreschi si ritrovano gruppi di figure e intervalli come fossero composizioni con suoni e pause. Lo stesso vale anche per l'accostamento dei colori, sviluppati in sequenze di note cromatiche con varianti su un "motivo" riconoscibile.
Il risultato di questa raffinata organizzazione degli elementi pittorici è il grande senso di equilibrio e chiarezza compositiva delle immagini. L'armonia visiva funziona quindi come l'armonia musicale.
A. Cocchi
"A quasi 80 anni Gianni Agnelli mi stupì rivelandomi che non era mai andato a vedere gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo. E lo stesso Berlusconi. Ma allora, mi chiedo: che sono vissuti a fare?". Queste le parole del critico d'arte Vittorio Sgarbi riguardo agli affreschi de "La Leggenda della Vera Croce". A parte il suo tono provocatorio, una cosa resta, la grandiosità del capolavoro di Piero della Francesca che ogni anno attira migliaia di turisti da tutto il mondo ad Arezzo.
È “il” legno il protagonista: quello dell’albero più antico, quello fra le cui venature era scorso il sangue di Cristo, quello in grado di accompagnare attraverso la morte e ridare la vita. Un lungo, intenso e straordinario viaggio per immagini, fra geometria,estetica e simbolismo. Sospeso fra storia e… leggenda