
a cura di Lions Club Arezzo Chimera


7-Santa Flora
Colle di Santa Flora e la gloriosa abbazia perduta (m.373 slm)
L’ultimo dei sette colli cittadini, anch'esso situato nella periferia sud-occidentale di Arezzo ma ben più lontano del Maccagnolo dalla città, nei pressi della località Olmo, è quello di Santa Flora. Oggi è un’area verde e tranquilla con una chiesa parrocchiale in stile neogotico, ma nel passato fu teatro di eventi cruciali.
In antichità il colle era chiamato Titano e ospitava edifici templari. Si segnalano, poi, ritrovamenti di vari frammenti, indicati come resti di un tempio etrusco di cui non si conosce la dedicazione, recuperati nei dintorni dell’odierna chiesa parrocchiale.
Più a monte dell’edificio cristiano, in località Castellare, nel medioevo si trovava il castello degli Azzi, citato dall’XI secolo e documentato nel 1132 come “Castrum Titani”. Alberto Fatucchi ha ipotizzato, a poca distanza dalla struttura difensiva, la presenza di un tempio dedicato a Saturno, in base al documento del 930 dell’Archivio Capitolare dove si parla di “Arco di Saturno” e al documento dell’Archivio della Badia del 1034 dove sono ricordati un “Casale Saturni” e una “Terra Saturni”. È probabile che a quei tempi esistesse un rudere dell’antico edificio templare che continuava a dare il nome alla zona.
Ma la collina è legata al culto molto sentito tra gli aretini per le sante Flora e Lucilla, due figure che nella revisione del “Martirologio Romano” del 2001 furono considerate leggende sorte in epoca medievale.
Secondo Fatucchi non sono altro che una trasposizione cristiana di due divinità romane: la dea della fioritura Flora e la dea dei parti Giunone Lucina. Per conoscere l’origine della devozione per le sante Flora e Lucilla è tuttavia fondamentale attingere al volume di Luigi Licciardello “Agiografia aretina altomedievale. Testi agiografici e contesti socio-culturali ad Arezzo tra VI e XI secolo” del 2005. Anche questo studioso tende a escludere l’esistenza delle due martiri e lega la nascita del culto alla scoperta di reliquie a Ostia nel IX secolo, periodo in cui fu redatta la più antica “Passio”, ovvero la narrazione del loro martirio. Essa racconta di due giovani vergini romane, Flora e Lucilla, rapite dal re barbaro Eugegio. Colpito dalla loro bellezza, il sovrano tenta di abusare di loro ma è avvertito che entrambe sono votate a Cristo. Eugegio decide di rispettare la loro verginità e le fa alloggiare in un eremo domestico, dove possono portare avanti una vita ascetica. In cambio le ragazze pregano per il regnante ogni volta che va in battaglia. Con il tempo Eugegio si convince di essere protetto dal Dio dei cristiani per intercessione delle due fanciulle. Dopo vent’anni di prigionia, il Signore appare in sogno a Flora e Lucilla e le invita ad andare a Roma per il martirio. Il re di origini africane, ormai convertito, decide di unirsi a loro. Arrestate e condotte di fronte al prefetto Elio, le due donne confessano la propria fede. Assieme a Eugegio e altri venti cristiani vengono uccise. A questo testo, trasmesso con poche varianti, fa seguito la “Augmentatio Passionis” dell’XI secolo, in cui si danno i riferimenti temporali del martirio, ovvero il 29 settembre 180, durante le persecuzioni degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero e il papato di Eleuterio. Nel XIII o agli inizi del XIV secolo viene redatta una nuova “Passio” che ci dà ulteriori informazioni. Nel testo si dice che dal suburbio di Ostia, dove erano stati seppelliti, i corpi delle due ragazze furono fatti traslare nel 901 dal vescovo di Arezzo per trasferirli nella sua città. Il presule fece tappa sul Monte Amiata, dove gli abitanti gli chiesero di lasciare una parte delle reliquie in cambio della dedicazione di una chiesa alle due martiri nell’odierna Santa Fiora. Prima di arrivare ad Arezzo, il mulo che trainava il carro con i corpi si bloccò a Olmo e lasciato libero di andare dove voleva cominciò a salire sul colle Titano. Lì vennero costruiti una chiesa e un monastero benedettino. Nella “Passio” del XV secolo la traslazione dei corpi di Flora e Lucilla ad Arezzo venne anticipata all’861, mentre nel “Martirologio Romano”, revisionato tra il 1586 e il 1589 da Cesare Baronio, la morte fu posticipata al 262, durante l’impero di Valeriano e Gallieno.
Mettendo da parte i racconti della tradizione cristiana, sappiamo che i monaci benedettini costruirono nella collina un’abbazia citata dal 903, in posizione strategica che consentiva di controllare sia Arezzo, sia la Val di Chiana. Lì era già una chiesa, donata ai monaci da Berta, moglie di uno dei due figli del vescovo di Arezzo Guglielmo degli Azzi. Il monastero era fortificato e munito di torri. Da qui gli studiosi fa risalire il nome di Turrita (o Torrita) di Olmo che si trova a lungo nei documenti. L’abbazia di Santa Flora crebbe rapidamente in ricchezza e prestigio, tanto da diventare la più importante e potente della zona, accumulò per circa due secoli vasti possedimenti terrieri grazie a continue donazioni di nobili e fedeli. Tanta prosperità attirò però contrasti, scontrandosi con l’ascesa del libero Comune di Arezzo: nell’intento di porre un limite al potere politico e temporale dell’ente ecclesiastico, tra il 1193 e il 1196 gli aretini smantellarono con la forza il monastero e i monaci furono “invitati” a stabilirsi tra le odierne via Cavour e via Garibaldi, dove tutt’oggi si trova la badia delle sante Flora e Lucilla, la chiesa abbaziale che ancor oggi sorge in centro, ricostruita poi nel ‘500 su progetto del Vasari. Così il potere laico aretino eliminò un potenziale “stato nello stato” e riportò sotto controllo cittadino quel territorio.. Si salvò solo la chiesa del cenobio.
Spogliato il colle della sua abbazia, cosa ne fu di Santa Flora? La collina non rimase disabitata a lungo. Già nel Duecento si menziona sul luogo una chiesa, probabilmente una dipendenza subordinata della Badia urbana, sorta per offrire assistenza spirituale agli abitanti rurali rimasti in zona. Questa chiesa di Santa Flora attraversò i secoli successivi subendo vari rifacimenti. Nel Settecento divenne sede di una parrocchia autonoma, segno che attorno ad essa vi era nuovamente comunità. All’inizio del Novecento, precisamente nel 1902, l’antica chiesetta fu completamente ricostruita in stile neogotico, assumendo l’aspetto attuale: una graziosa struttura con facciata a capanna ornata da un mosaico delle sante titolari, e un interno a navata unica sobriamente decorato. Del potente monastero medievale non restavano ormai che memorie sepolte e qualche rudere inglobato nei muri di case coloniche.
Tra le opere presenti sono da menzionare a destra in basso, il frammento altomedievale di pietra con motivi geometrici proveniente dalla chiesa abbaziale. Due dipinti seicenteschi di ambito aretino, “Gesù che ora nell’orto” e la “Flagellazione di Gesù”, sono stati invece trasferiti nei depositi della Soprintendenza per motivi di sicurezza. All’esterno si osservano il mosaico con le sante titolari nella facciata e una stupenda croce metallica nel sagrato realizzata dalla Fonderia Bastanzetti nel 1900. Nel 2020 è stata rimossa in seguito a un atto vandalico ed è in attesa di essere ricollocata.Tra la croce e la chiesa è infine presente il bel monumento ai caduti della località nelle due guerre mondiali.
Solo negli ultimi decenni le ricerche storiche e archeologiche hanno riportato alla luce l’importanza dimenticata di Santa Flora. Sul colle immerso nella natura affiorano resti delle antiche fondamenta monastiche, e gli studiosi hanno potuto delineare l’estensione della cittadella fortificata benedettina, comprendente chiesa, chiostri, magazzini e torri. L’Associazione locale ha persino organizzato passeggiate archeologiche per mostrare ai cittadini i luoghi dell’abbazia “perduta” e raccontarne le vicende.
Si può affermare che Santa Flora racchiude un grande passato immerso nella quiete: chi vi cammina oggi tra oliveti e boschetti, magari lungo la via di Bagnaia, difficilmente immagina che sotto i propri passi giacciono i resti di templi pagani etruschi e di un monastero medievale un tempo temuto come una piccola Potenza feudale. Eppure è così: questo colle custode di memorie, ultimo tra i sette colli odierni di Arezzo, collega idealmente il culto pagano dei nostri antenati etruschi con la fede cristiana dei monaci medievali, per giungere fino alla devozione popolare odierna verso le (un tempo celeberrime, oggi persino rimosse dal calendario ufficiale) Sante Flora e Lucilla.
a proposito della famiglia degli Azzi, vv. anche il docum.:
https://www.curiosandoarezzo.com/_files/ugd/e688a5_f1d74d51eecd4c278cccb9a40a5893f7.pdf